Caro direttore,
Ancora una volta le rilevazioni Istat ci ricordano la drammatica mancanza di inclusione di noi giovani nel mercato del lavoro. Non si tratta solo dell’alta disoccupazione dei 15-24enni – anche se poi le medie ci dicono che il primo ingresso nel mercato avviene attorno ai 22 anni -, ma anche degli inattivi, fenomeno in costante e preoccupante crescita. I cosiddetti Neet (Not in Education, Employment or training) in Italia sono aumentati notevolmente, passando dal 16,2% del 2007 al 22,2% del 2013. Per quanto fenomeno europeo, in Germania, Malta e Lussemburgo la percentuale sta decrescendo e consideriamo che la media è del 13%.
Ma allora ha ragione chi dice che siamo dei bamboccioni, che siamo choosy, che siamo degli sfigati?
La scorsa settimana una notizia non vera ha innescato – più o meno inconsapevolmente – l’ennesima provocazione sul tema: si narrava di numerosissimi giovani selezionati per lavorare presso l’Expo che alla fine avrebbero “snobbato” il lavoro tirandosi indietro proprio al momento di iniziare. I dettagli riportati nell’articolo erano davvero difficili da comprendere: su 1.000 giovani selezionati, 460 al momento della firma non hanno firmato, rinunciando così al posto di lavoro. E altri, al secondo e al terzo turno, hanno fatto lo stesso.
Facendo i conti di tutti quelli che hanno detto no, i media riportavano che l’80% dei giovani richiedenti ha alla fine rinunciato all’occasione offerta da Expo 2015. La notizia dunque è deflagrata provocando due significative reazioni. Da un lato, alcuni giornalisti e opinionisti hanno preso la palla al balzo confermando che il problema dei bamboccioni esiste e non hanno lesinato nel tirare le orecchie sui quotidiani e in televisione. Dall’altra parte della barricata, sul web e sui social media in particolare, molti ragazzi hanno raccontato le proprie storie di candidati all’Expo mai contattati oppure selezionati ma a condizioni ben diverse da quelle riportate dagli organi di informazione. Oppure chiamati all’ultimo momento dopo mesi di silenzio.
In sintesi, non i malfunzionamenti del mercato a essere sotto accusa, ma ancora una volta noi che non abbiamo voglia di lavorare.
È fin troppo facile dire quanto la Garanzia Giovani sia l’ultimo bluff per le nostre generazioni. È chiaro tuttavia che in Italia ci sono giovani bamboccioni e choosy che hanno poca voglia di lavorare. Ma davvero è questo il problema che è alla base della non-inclusione dei giovani nel mercato nel nostro Paese?
Forse nessuno ricorda che l’alta disoccupazione è sempre stata molto alta in Italia (sin dagli anni ’80 eravamo sopra il 30%) e che da sempre i giovani hanno faticato a entrare nel mercato del lavoro. Certamente abbiamo le nostre responsabilità, ma come mai 34mila giovani laureati nelle nostre università lavorano in Europa nei settori della ricerca e dello sviluppo? Come mai ben 26 mila giovani nel 2012 hanno lasciato l’Italia per cercare (e trovare) fortuna all’estero?
Del fenomeno dei “cervelli migranti” siamo ormai a conoscenza da tempo, quello che non è chiaro ne sono le ragioni: noi giovani continuiamo a essere tenuti a distanza da un sistema economico che resiste ai processi di trasformazione e che giorno per giorno invecchia perdendo progressivamente sempre più slancio innovativo.
Questa mancata inclusione è una sconfitta per tutti, è un Paese che rinuncia a darsi una prospettiva: le aziende che non si innovano sono aziende sempre meno in grado di competere; è l’Italia intera che perde Pil, reputazione, attrattività e potere economico con i Paesi avanzati.
Questo Paese è disposto a invertire questo trend? Per citare una battuta di Vittorio Feltri: “Son tempi duri, ma non tanto per noi che non ce ne frega niente”. A loro – i garantiti – che cosa gliene frega?
In collaborazione con www.think-in.it