“Articolo 1. L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”. Non potevo continuare l’articolo precedente senza partire da questo presupposto. O meglio guardando questo presupposto come un faro. Sì un faro: perché illumina il percorso grazie al quale chi opera sappia che lo fa affinché l’Italia sia e resti una Repubblica democratica.



Qualcuno potrebbe contestare l’interazione tra lavoro e quindi mercato con democrazia e libertà. Sbagliato: è grazie al lavoro che si salvaguarda la dignità e si dà vera sostanza alla libertà (lo afferma papa Francesco uomo venuto dal sud del mondo alla pari di Michael Novak, teologo ed economista che volle andare nel sud del mondo). Qualcun altro invece coltiverebbe, sono le stesse parole, un sogno che in verità è stato già un incubo perché è la declinazione fino al gradino finale dell’Arbeit Macht Frei posto all’ingresso di Dachau. Manca la citazione sul lavoro del periodo stalinista, ma in fondo non è molto lontana da quella germanica.



Non sembrino strane queste affermazioni. In verità sono legate da una linea talmente sottile quasi invisibile, che fanno legame in una trama complessiva al di là delle valenze che le appartengono e che può essere squisitamente discussa in termini economici. 

Ripartiamo dagli “inattivi”, individuati nella prima parte e descritti come coloro che non hanno fiducia nella possibilità di trovare un lavoro e quindi non lo cercano. Come potrebbe dire Monsieur Lapalisse, se agisci, la gente comincia avere fiducia che le cose possano cambiare. Non è un caso che gli inattivi siano apparsi per la prima volta nelle statistiche del 2011. Di conseguenza prendendo questo anno come riferimento e approfondimento nonché d’inasprimento del dibattito sul mercato del lavoro, gli inattivi perché sfiduciati, scoraggiati, potrebbero non essere più tali… se non sono in malafede.



Che fare? Da dove partire? Quali proposte avanzare per il lavoro: Modello renano o Modello anglosassone? Le risposte possono essere molteplici, ma una sola è importante qualunque sia il modello. Infatti, se il lavoro viene creato, il Paese che ne beneficia ha – al di là del modello adottato – sia una vocazione imprenditoriale, sia l’intelligenza di sostenerla pragmaticamente. Le politiche che ne discendono sono allora funzionali per far sì che le imprese nascano, prosperino e si moltiplichino. Sono politiche che coinvolgono 5 aree: l’accesso ai fondi, banche o mercato dei capitali che siano, fondi e capitali presenti o attratti dall’estero, il diritto d’impresa, la fiscalità d’impresa, la Pubblica amministrazione con la quale interagisce l’impresa, la struttura dell’offerta di lavoro per l’impresa. È chiaro che la dimensione e la varietà del tema impongono per lo stesso un’economia e quindi una restrizione di trattamento, senza tuttavia privarsi dei riferimenti basilari, e perché no anche teorici.

Un percorso può essere tracciato partendo dal livello teorico e scendendo nel contesto del particolare. Per me livello teorico significa (tralasciando Keynes) partire dal ciclo vitale di Samuelson, che sarebbe quello di Modigliani rettificato dalla presenza delle cosiddette generazioni sovrapposte. In presenza di generazioni sovrapposte, i comportamenti di risparmio e di consumo interagiscono a livello e condizioni di trasferimento sia di stock (eredità anche come risparmio investito o come gioia di ultimo consumo), sia di reddito che diviene reddito di sostegno nelle famiglie con figli adulti, ben noto nel nostro Paese.

Perché questa premessa? Per concepire in tratti schematici la problematica; per individuare il tempo del lavoro come quel tratto temporale che inizia dal tempo dell’istruzione (scuola dell’obbligo e/o università che dir si voglia completate o abbandonate) e si conclude con il tempo del ritiro (anticipato per la flessibilità, oppure ordinario per la vecchiaia). Poiché la Costituzione italiana recita che la Repubblica è fondata sul lavoro, ma nulla rimanda ai richiami di Costituzioni come quella americana sul diritto a perseguire la felicità (a perseguire, non a essere felici) – richiamo presente poi anche nel primo testo rivoluzionario francese – si può comunque arguire che il lavoro sia una forte componente per perseguire quel diritto o per assicurare i mezzi per perseguire quel diritto. Due aspetti questi che non possono negare al lavoro il legame con la libertà e la dignità.

Non è tuttavia solo il tempo del lavoro a qualificare lo stesso. Infatti, al di là di poche eccezioni, è possibile qualificare il lavoro come l’attività retribuita di un prestatore d’opera intellettuale o fisica o ricombinata per entrambe le qualità. Il lavoratore o dipendente che dir si voglia è colui che percepisce la predetta retribuzione regolarmente o meno, in base a un accordo/contratto/patto o qualsivoglia forma che abbia una connotazione giuridica attestante l’esistenza di un’obbligazione reciproca. Un chiarimento necessario da premettere è che per ogni persona abile o disabile il lavoro è rappresentato dallo svolgimento di una o più attività indipendentemente che esse si concretizzino in uno o più posti di lavoro. In una o più attività autonome distinte o complementari. Premesso questo l’attività lavorativa può essere sospesa, reintegrata o cessare nel corso del tempo tra il periodo dell’istruzione e quello del pensionamento.

È chiaro che sul mondo dell’istruzione dobbiamo dar conto che le riforme siano state fatte e che abbiano ottenuto il risultato principale: dare agli studenti l’istruzione e l’orientamento necessari, dare loro gli strumenti per coltivarla e utilizzarla nel migliore dei modi: perseguendo la duplicità dell’informazione. Duplicità perché all’informazione che crea conoscenza si affianca l’informazione che crea fame di conoscenza. È il primo gradino della ricerca pura che andrà a trasformarsi in ricerca applicata, in brevetti. Base per un Paese capace di avanzare e di fare scelte di posizionamento nel mercato internazionale, per il fattore “Brain” che possiede. Non ci si dimentichi che la materia prima rara non è la “Money” che si può attingere o replicare con il ritorno sugli investimenti effettuati, ma è il “Brain”: la Silicon Valley qualcosa insegna.

Seguiamo ora il percorso di Matteo, il nostro target, ma solo per caso omonimo del Premier. Con la sua nascita Matteo avrà ricevuto sia la tessera sanitaria che la tessera del welfare dotate di due codici nazionali identificativi di secondo livello collegati a un unico codice di primo livello: il codice fiscale. Gli enti emittenti Ministero della Salute e il Centro DatInsieme di Inps, Inail, Ministero del Lavoro, Agenzia Nazionale del Lavoro dialogano tra di loro, si scambiano i dati, li lavorano ciascuno per competenza, inviando sempre per competenza i dati necessari all’Istat. Grande successo dell’Agenda Digitale e della BroadBand pubblica per il Paese.

Alla fine del tempo dell’istruzione e per il tipo d’istruzione raggiunta, Matteo potrà scegliere il settore pubblico o quello privato. Potrà essere dipendente o lavoratore autonomo. A ciascuno dei suoi passi: dal concorso con il quale entrerà o meno nell’Amministrazione pubblica alla firma del contratto di lavoro, il suo codice fiscale lo accompagnerà sempre e a sua volta per le attività svolte questo sarà accompagnato da un codice sanitario e da un codice welfare.

Nel territorio nazionale, ovunque Matteo porrà la sua residenza, l’Anagrafe trasmetterà al Ministero dei Trasporti, all’Asl di competenza, all’Agenzia Regionale del Lavoro (che ha uffici decentrati in ogni comune della Repubblica) i dati di Matteo. La mancanza della fornitura di uno dei codici o del sostituto di uno o di tutti e tre di essi (il cui smarrimento e furto va denunciato alle autorità di polizia) inibirà la prestazione di qualunque tipo di servizio.

Nel tempo del lavoro il nostro giovane potrebbe rivolgersi o essere chiamato dall’Agenzia Regionale del Lavoro. l’Agenzia ha sostituito l’Ufficio di collocamento ed è braccio operativo in ogni Regione dell’Agenzia Nazionale che delinea le linee guida sulle quali, con la loro condivisione, le Agenzie Regionali definiscono le loro attività operative. Tra queste attività la principale è il monitoraggio del territorio. Le Agenzie vengono incaricate di due attività: la promozione del lavoro, l’erogazione dei contratti, il controllo. Uffici Inps, Inail, Agenzie interinali, Asl si ricollegano alle stesse Agenzie e solo i dati riguardanti ciascun soggetto e l’esistenza o meno di un rapporto di lavoro vengono consolidati, sia come dipendente, sia come autonomo.

Con il monitoraggio l’Agenzia cura anche la dissuasione di forme di contratti anomali rispetto alla normativa vigente; normativa che comprende un contratto quadro a moduli, l’uno interconnesso all’altro applicabili sia a livello orizzontale con cambi di lavoro, sia a livello verticale a tutela crescente, sia a livello diagonale che permette di raccordare il cambio di lavoro alla tutela crescente. I contratti quadro sono per settore e sono di primo livello e riguardano le condizioni basilari, ineludibili e garantiste del rapporto di lavoro, così come consolidate dal negoziato tra le parti sociali. Sul contratto quadro, s’innesta il contratto di secondo livello che può essere sia aziendale come anche a livello di gruppo di aziende, senza tuttavia che tale applicazione, per modalità territoriali o dimensioni aziendali, renda superfluo il contratto quadro. Il contratto di gruppo deve poter prevedere condizioni possibili di solidarietà e sussidiarietà per le aziende del gruppo stesso, ove l’eventuale dimensione congiunturale di una crisi ponga i presupposti per un rilancio delle aziende stesse.

Agenzie Interinali e associazioni di categoria e imprenditoriali, aziende, gruppi ed enti per i quali non sia prevista la chiamata a concorso sia per il tempo determinato che indeterminato hanno l’obbligo di mettere in rete sul portale per l’occupazione gestito dall’Agenzia la disponibilità dei posti di lavoro regione per regione. 

Ma cosa accade quando per qualsivoglia motivo l’azienda chiude o quando i periodi intercorrenti tra un contratto orizzontale e un altro lasciano esposto alla mancanza di reddito Matteo? Interviene l’Inps. L’Istituto dotato della linea Assistenza (inglobante gli ammortizzatori sociali) e della linea Previdenza. Una volta in passato riconvertito alla separazione tra le due linee gestite da due direttori generali diverse provvede, di concerto con l’Agenzia Regionale del Lavoro, a corrispondere a Matteo un assegno per un reddito pari all’80% di quello del suo precedente lavoro per una durata massima fino a tre chiamate per lavoro prodotte su iniziativa dell’Agenzia nel corso di tre mesi, qualora Matteo non riesca a ricollocarsi con le proprie forze. Nell’arco di questi tre mesi Matteo segue corsi di riqualificazione e/o addestramento specifici e può seguirli anche una volta assunto in base a una delle offerte prodotte dall’Agenzia. All’eventuale rifiuto della prima offerta l’assegno scende del 50%, al rifiuto della seconda scende del 25%, al rifiuto della terza l’assegno viene azzerato. Tutte le attività relative agli ammortizzatori sociali che rimandano a quella che una volta veniva chiamata Cassa integrazione guadagni, ordinaria e straordinaria, non escludono affatto che Matteo trovandosi in una condizione simile, possa trasmigrare a fare il portiere di notte in un albergo di una città nuova, ecc.

L’aver avuto per tutto il suo tempo lavorativo il codice welfare insieme a quello fiscale ha garantito Matteo da buchi e irregolarità nei suoi versamenti previdenziali. La possibilità di effettuare i controlli incrociati ha funzionato come deterrente nei confronti di aziende furbette. Resta il problema della ricongiunzione, cumulabilità o conversione se ha passato periodi diversi anche all’estero, ma questo è superabile. È bastata una norma di un solo articolo e tutto il sistema contributivo di Matteo, ha ricompreso su di sé anche i decimi e le rivalutazioni che tempo addietro sembravano essere finite chissà dove. Ma soprattutto, grazie a un’informativa continua e verificabile inserendo i suoi dati sul portale Inps, ha chiesto subito il riscatto della sua laurea al primo impiego di panettiere o di contabile, così come ha beneficiato di ricongiunzioni a identico valore.

Bene! Se invece è stato esodato perché la sua azienda ha firmato con i sindacati il suo percorso a scivolo verso la pensione, le condizioni rese possibili dalla nuova flessibilità gli permettono di andare in pensione dopo 60 giorni, o al massimo dopo 90 giorni previa una retribuzione sociale pari a tre volte il minimo della sua pensione futura. L’azienda invece di versargli da una parte contributi e dall’altra una retribuzione di sostegno attualizzata della sua futura pensione a 5 anni più tardi, complice il ricalcolo dei contributi fatto dall’Inps con le nuove norme sulla contribuzione volontaria, ha versato un montante di contributi adeguato. Ciò permette a Matteo di andare in pensione con la minor perdita possibile sull’assegno di pensione anticipata, all’azienda di risparmiare e di godere dei vantaggi fiscali previsti dal Governo in carico per lo Youth switch, assumendo al posto di Matteo un nuovo giovane.

È chiaro che in un sistema così è la “non furbizia” il comportamento premiante per le aziende dopo decenni passate a minacciare l’applicazioni di una legge come la 223 per indurre ad accettare gli esodi volontari dopo una dichiarazione di stato se non di crisi, di prossimo alla crisi. Che tempi quelli di oggi, dove una diminuzione di utile fa andare in crisi se non in tilt la direzione generale di un’azienda e gridare “Al fuoco al fuoco” quando basterebbe segnalare agli Uffici Provinciali del Lavoro la verità. È per evitare guasti peggiori che un riposizionamento o una riconversione strutturalmente basati sulla riduzione del costo del lavoro sono vie preliminari per continuare a lavorare. E non si tratta invece di una manovra di basso cabotaggio per mantenere inalterato il margine reddituale della proprietà a scapito dei lavoratori e delle loro famiglie…tanto poi c’è un’Agenzia Regionale del Lavoro che funziona.

Un’ultima considerazione per la nostra classe dirigente: il lavoro vero è quello che si crea, quello artificiale è invece quello statisticamente valido solo grazie alla cosiddetta solidarietà generazionale. Un bravo Governo è quello che crea i presupposti e gestisce le leve perché ci sia lavoro, perché vengano create imprese, siano mantenute ed ampliate e perché no anche chiuse, riaperte e trasformate. E un bravo Matteo è quello che il suo lavoro se lo sa tenere a lungo, se lo sa fare bene. 

 

(2- continua)