«Il welfare italiano lascia scoperte delle esigenze sociali essenziali, e abbiamo quindi un disperato bisogno di proposte come quella del presidente Inps Boeri che vanno certamente nella giusta direzione. Anche se ciò che occorrerebbe veramente è uno schema generale di contrasto alla povertà che esiste in altri Paesi ma non in Italia». È il commento di Stefano Giubboni, professore di Diritto del lavoro all’Università di Perugia. Tito Boeri, numero uno dell’istituto nazionale di previdenza, ha proposto di tassare le pensioni più alte per creare un reddito di cittadinanza per gli ultra 55enni che perdono il lavoro.



Ritiene che la proposta di Boeri sia realizzabile?

Occorre fare una simulazione di calcolo puramente contributivo delle pensioni retributive, per capire quale sia la differenza tra l’importo effettivamente corrisposto con il calcolo retributivo e quello che sarebbe stato corrisposto con il contributivo. A quel punto bisogna concentrare un prelievo di solidarietà su una percentuale di questa differenza, perché altrimenti si incorrerebbe in evidenti profili di incostituzionalità. Partirei quindi da questo approccio, che è coerente con la proposta di Boeri. È inoltre decisivo stabilire la soglia oltre la quale una pensione si considera alta.



In quale contesto generale si inserisce la proposta di Boeri?

Siamo in via di superamento del sistema degli ammortizzatori in deroga, una scelta che è già stata fatta con la legge Fornero. Nello stesso tempo in Italia età e requisiti di accesso alla pensione sono tra i più alti d’Europa, con una crisi che ancora strangola l’economia reale e con un tasso molto alto di sofferenza sociale in quella fascia d’età. Dobbiamo quindi trovare una soluzione per questo problema sociale molto grave, e la proposta di Boeri è una soluzione ragionevole. Deve essere però sorretta da criteri trasparenti di equità distributiva tra classi di reddito e generazioni.



Con quali prospettive per il futuro?

Questa proposta comincerebbe ad aprire una sorta di via italiana di reddito minimo garantito. Si rivolge infatti a una classe di soggetti connotata oltre che da una condizione di disagio socio-economico, anche dal dato anagrafico. Si tratta cioè di lavoratori espulsi dal mondo del lavoro e che, data l’età, non hanno nessuna possibilità di accesso in tempi ragionevoli ai trattamenti pensionistici. Comunque anche se limitata a questa categoria di soggetti, è comunque una misura di reddito minimo garantito.

Lei è favorevole a questo tipo di misura?

Ciò che abbiamo di fronte è la proposta di un’estensione, sia pure finanziata in modo innovativo, della pensione sociale e il nostro sistema ne ha disperatamente bisogno. Anche dopo la riforma degli ammortizzatori sociali, la Naspi e gli ammortizzatori in costanza di rapporto, questo sistema lascia scoperte delle esigenze sociali essenziali.

 

Basta la proposta di Boeri per dare risposte a queste esigenze?

Noi abbiamo bisogno, come avviene nella stragrande maggioranza dei Paesi europei, di uno schema generale di contrasto alla povertà. Questo al momento è improponibile sul piano dei vincoli di finanza pubblica, e anche delle scelte politiche del governo che non sono orientate in questa direzione. È però una direzione che l’Italia prima o poi deve imboccare, per allineare l’efficienza del proprio sistema agli altri grandi Paesi dell’Eurozona.

 

E quindi?

In mancanza della possibilità di arrivare subito a questo risultato, la proposta di Boeri va nella direzione giusta. È importante capire che cosa si intende per pensioni più alte, stabilendo un criterio equo e trasparente di redistribuzione delle risorse. Ci deve essere una sostenibilità non solo finanziaria, ma anche dal punto di vista dell’equità sociale, altrimenti quest’operazione diventa impraticabile.

 

(Pietro Vernizzi)