Nella Legge di stabilità per il 2016 saranno previste delle strade per permettere a un lavoratore anziano di ritirarsi in pensione in anticipo. Tra le ipotesi quella di andare in pensione a 62 anni con un alleggerimento definitivo dell’assegno, oppure la staffetta generazionale con l’anziano che lavora part-time per consentire l’inserimento di un giovane. Sul tavolo ci sono anche quota 100 e il ricalcolo con metodo contributivo delle attuali pensioni retributive. Infine c’è la proposta di Massimiliano Fedriga (Lega nord) di prolungare la sperimentazione di Opzione donna fino al 2018. A queste cinque possibilità se ne aggiunge una sesta, avanzata dal presidente Inps Tito Boeri, che vorrebbe introdurre un reddito di cittadinanza per gli over 55 che restano senza lavoro. Ne abbiamo parlato con Luca Spataro, professore di Economia Politica all’Università degli Studi di Pisa.
Che cosa ne pensa della proposta di Boeri di un reddito minimo per gli over 55 che perdono il lavoro?
La proposta sugli over 55 è legata a un’economia italiana talmente bloccata che non c’è quel turnover per cui chi perde il lavoro lo ritrova abbastanza facilmente. Non dimentichiamoci però che la questione degli over 55 va guardata insieme a quella degli under 35. Sono i giovani i veri poveri che rappresentano la generazione sempre più spesso fuori dal mercato del lavoro.
In che modo è possibile dare risposte agli over 55 disoccupati?
Un modo per venire incontro al problema degli over 55 consiste nell’introdurre un meccanismo che sia un percorso di pensionamento. Come succede in tutta Europa il pensionamento non è necessariamente un momento determinato in termini di età, ma è un percorso durante il quale si introducono incentivi o contratti part-time per cui il lavoratore è comunque pagato in base alla sua produttività marginale. Va tenuto anche conto del fatto che le energie e la forza con l’età possono ridursi.
Lei ritiene che un nuovo intervento dello Stato sulle pensioni sia comunque necessario?
In una situazione normale sarebbe sconsigliabile che lo Stato intervenisse con meccanismi di questo tipo. Dovrebbero essere le parti a determinare liberamente un equilibrio tra offerta e domanda di lavoro. Le stesse iniziative di Boeri sono meritorie, ma fanno comunque immaginare un sistema bloccato in cui deve sempre essere il “policy maker” a movimentare l’economia. È una situazione patologica che non può durare a lungo.
Che cosa ne pensa invece delle altre cinque proposte nell’ottica della flessibilità?
L’importante è avere chiaro che non si può più derogare dal meccanismo contributivo. Il sistema contributivo restituisce a ciascuno quanto ha versato. Questo deve essere un principio inderogabile. Ben vengano eventuali flessibilità in uscita, purché non si deroghi in nessun modo dal principio previdenziale-assicurativo determinato dal meccanismo contributivo. L’unico modo per introdurre la flessibilità in uscita è quindi legata proprio all’introduzione del meccanismo contributivo per tutti.
Alla luce delle ultime sentenze della Consulta, andare a toccare le pensioni retributive è veramente possibile?
Sì. Già è successo è nel 1992, quando il governo di Giuliano Amato eliminò l’indicizzazione delle pensioni ai salari. Questa misura permise all’Italia di risollevarsi da una congiuntura economica drammatica come quella dei primi anni ’90. L’attuale livello di drammaticità per le condizioni dell’economia italiana è lo stesso di allora. Non si tratta di punire nessuno, ma di ristabilire, pur rispettando i trattamenti minimi, una proporzionalità tra quanto è versato e quanto è percepito. Si tratta di eliminare quel 15-20% in più di pensione derivante dal retributivo, che rappresenta un vero e proprio “regalo”. Ma deve essere chiaro che tali provvedimenti debbono essere indirizzati a favore dello sviluppo e dell’occupazione giovanile.
(Pietro Vernizzi)