La materia del diritto del lavoro non smette di essere investita da nuove norme volte a razionalizzare ed efficientare il mercato del lavoro e delle relazioni industriali, come si è visto con gli ultimi decreti approvati dal Consiglio dei ministri. L’intento primario del Jobs Act di promuovere la flessibilità in entrata e il contratto a tempo indeterminato come forma comune di contratto viene attuata anche mediante il riordino delle tipologie contrattuali e mediante l’eliminazione del job sharing, dell’associazione in partecipazione e delle collaborazioni coordinate e continuative, andando così a garantire si spera maggiore facilità nell’assunzione di nuove risorse con contratto a tempo indeterminato e consentendo di smascherare le finte partite Iva e i contratti a progetto. 



Tale decreto, difatti, conferma la fine delle collaborazioni a progetto che non potranno più essere attivate a partire dall’entrata in vigore del decreto attuativo; vengono lasciate salve le collaborazioni in corso sino alla loro naturale scadenza. Pertanto, a partire dal 1° gennaio 2016, ai rapporti di collaborazione personali che si concretizzino in prestazioni di lavoro continuative ed etero-organizzate dal datore di lavoro saranno applicate le norme sul lavoro subordinato. 



Novità anche in materia di lavoro accessorio: se da un lato viene elevato il tetto dell’importo per il lavoratore fino a 7.000 euro annui, restando comunque nei limiti della no-tax area, dall’altro vengono introdotti sistemi che consentono la tracciabilità degli importi corrisposti. Difatti, al fine di evitare un uso improprio del lavoro accessorio, è stato previsto che il committente imprenditore o professionista debba acquistare il voucher solo per via telematica e debba comunicare preventivamente quale uso ne farà, indicando il codice fiscale del lavoratore e il luogo di svolgimento della prestazione, in un arco temporale di 30 giorni. Ci si domanda se tale innalzamento del tetto possa effettivamente garantire maggiore flessibilità se ha come contropartita l’imposizione di obblighi di comunicazione stringenti in capo al committente che, di fatto, limiteranno la libertà di azione e di fruizione dei voucher.



Altro tema al vaglio del Consiglio dei ministri è stata la riforma in materia di servizi per l’impiego, politiche attive del mercato del lavoro e ammortizzatori sociali, che prevede, tra le altre misure, l’istituzione di un’unica Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro, denominata “Anpal”, partecipata da Stato, Regioni e Province autonome e vigilata dal ministero del Lavoro. In altre parole, al fine di garantire livelli omogenei di politiche attive su tutto il territorio nazionale, si prospetta una centralizzazione delle stesse in un’unica e sola agenzia che ingloberebbe in sé gli attuali Centri per l’impiego, le Agenzie per il lavoro, le strutture regionali per le politiche attive del lavoro, ecc. Ciò lascia piuttosto stupiti, in quanto la centralizzazione si porrebbe in contro-tendenza rispetto alla scelte di decentramento poste in essere anche dagli altri paesi europei e potrebbe, di fatto, ostacolare l’effettivo godimento dei servizi da parte dei cittadini. 

A fronte di tale scelta legislativa di eliminare le Agenzie per il lavoro, ci si chiede cosa ne sarà del contratto di ricollocazione che, in base alla sua formulazione originaria, avrebbe attribuito alla persona interessata, la facoltà di scegliere l’agenzia specializzata (tra quelle accreditate presso la Regione) che gli avrebbe fornito l’assistenza necessaria e che lo avrebbe indirizzare nel percorso di ricerca e di riqualificazione mirata agli sbocchi occupazionali effettivamente esistenti. 

Da ultimo, non per importanza, tra i decreti attuativi in approvazione c’è quello relativo agli interventi a sostegno della maternità, in particolare sull’utilizzo del congedo parentale facoltativo (6 mesi complessivi): il congedo non retribuito si allunga fino ai 12 anni di età del bambino (contro gli attuali 8), mentre il congedo parzialmente retribuito (nella misura del 30%) si allunga sino ai 6 anni del bambino (contro gli attuali 3). La predetta normativa avrà durata sperimentale di un anno. Ci si augura che, nel ridotto periodo di sperimentazione, possa emergere chiaramente quanto il periodo di fruizione dei congedi, pari a 6 mesi, sia comunque insufficiente come misura a sostegno della maternità e che emerga, quindi, l’esigenza di allungare ulteriormente la durata dei congedi (oltre i 6 mesi), seppur negli attuali limiti di età del bambino.

Allo stato dell’arte, non ci resta che attendere per valutare se, la profonda riforma in essere, abbia come effetto quello di aumentare i posti di lavoro, favorire la flessibilità e facilitare la domanda e l’offerta di lavoro sul mercato.

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