«La ragione inconfessata per cui le imprese chiedono la flessibilità pensionistica è che vogliono liberarsi di lavoratori con molti scatti di anzianità e sostituirli con giovani meno costosi, licenziabili, perché assunti con contratto a tutele crescenti, e per di più incassando gli incentivi del governo. Il tutto ovviamente con i soldi dei contribuenti». Lo afferma Mario Seminerio, direttore del blog Phastidio.net a proposito delle varie proposte di riforma del sistema pensionistico. Tra le ipotesi quella di ritirarsi dal lavoro a 62 anni con un alleggerimento definitivo dell’assegno, oppure la staffetta generazionale con l’anziano che lavora part-time per consentire l’inserimento di un giovane. Sul tavolo ci sono anche il ricalcolo con metodo contributivo delle attuali pensioni retributive (noto anche come Opzione Donna) e quota 100.



Da dove nasce l’attuale dibattito sulla flessibilità pensionistica?

Le aziende hanno l’esigenza di aumentare la quota dei dipendenti amministrata e gestita con il nuovo contratto a tutele crescenti. Per fare questo hanno bisogno chiaramente di liberarsi del personale più anziano e di sostituirlo con giovani assunti sulla base del Jobs Act. Peraltro se l’assunzione avviene nel 2015 gli imprenditori ottengono anche dei robusti sussidi triennali. Deriva da qui questa pressione molto forte sul governo per introdurre flessibilità e staffetta generazionale.



Ma l’obiettivo della staffetta non dovrebbe essere quello di aumentare l’occupazione giovanile?

La motivazione ufficiale è appunto questa, anche perché i giovani soffrono di una disoccupazione elevatissima. La ragione non confessata dalle aziende però è quella di liberarsi di una robusta fetta di personale anziano che ha il vecchio contratto a tempo indeterminato, con tutte le rigidità del caso. L’obiettivo è sostituirli con giovani che costano meno perché non hanno ancora avuto scatti di anzianità e in più sono assunti con il contratto a tutele crescenti.

Perché il governo ha accettato di fare proprio il tema della flessibilità?



Il ministro Poletti in più di un’occasione parlando di questo tema ha detto: “Ce lo chiedono le imprese”. Questo abbattimento del costo del lavoro per le aziende si tradurrebbe però in un aumento secco di spesa pubblica pensionistica, e quindi in un aumento degli oneri a carico dei contribuenti. La coperta è corta, e proprio per questo bisogna evitare di essere miopi.

Per il presidente Inps Boeri, la staffetta generazionale non va regolata per legge ma affidata alla contrattazione aziendale. È d’accordo con lui?

Sono d’accordo con Boeri, è comunque meglio ricondurre la staffetta a un ambito aziendale. È folle pensare di poter imporre a un’impresa di assumere un giovane per ogni anziano che sta uscendo. Se c’è un accordo tra azienda e sindacati, per cui è possibile sostituire un determinato numero di persone da pensionare con altrettanti giovani che entrano, lo si può fare. Ciò fa già parte degli accordi sui contratti integrativi e anche sui contratti nazionali di settore.

 

Posto che come diceva prima la flessibilità è un’arma a doppio taglio, lei quale preferisce tra le varie proposte sul tavolo?

La soluzione migliore, nonché quella meno onerosa per le casse pubbliche, è estendere l’Opzione Donna a tutti. Ciò determina un minore esborso per le casse dello Stato. Ci sarebbero dei sacrifici sull’assegno in uscita, ma d’altra parte la situazione è quella che è e non si può continuare a pensare che si possano agevolare uscite pensionistiche per risolvere i problemi del mondo del lavoro. Anche perché in questo modo li si aggravano.

 

Quali sono i nodi da sciogliere per estendere Opzione Donna a tutti?

Il nodo principale è quello della contabilizzazione della spesa pensionistica da parte della Ue. Bruxelles non considera infatti il valore attuale della spesa pensionistica, bensì gli esborsi per cassa. Qualunque tipo di aumento degli esborsi per cassa, anche quelli realizzati con il contributivo puro come Opzione Donna estesa a tutti, determina uno scostamento rispetto agli obiettivi. Sarebbe dunque utile che il governo italiano andasse a rinegoziare in sede Ue questo criterio di calcolo della spesa pensionistica, passando dal valore corrente a quello attuale.

 

(Pietro Vernizzi)