Ho quasi completamente abolito la lettura dei quotidiani italiani – è pur sempre la mia lingua madre, l’italiano, e la mia cultura pesca soprattutto lì – anche perché è disperante dover costatare come, ogni qual volta si occupino di faccende svizzere, abbiano a cuore di stravolgere i dati della realtà con inesattezze e approsimazioni che alla fine consentono di far tornare “utile” il “caso” a una tesi precotta sulla Svizzera o a una causa promossa dal giornale in questione. Qui parliamo di “salario minimo garantito”, diritto accolto l’altro giorno dalla maggioranza dei votanti ticinesi che ha detto “sì” a un’inziativa popolare (dunque non un referndum, come scrive la stampa italiana) ideata dalla formazione politica dei Verdi.
A quanto ammonterà il salario minimo? Nessuno lo sa, salvo la Repubblica (che parla di 3mila franchi netti al mese), perché il testo dell’iniziativa chiede che l’importo sia diversificato a seconda dei settori economici e anche delle regioni dal Cantone, senza prevedere nessuna cifra. Un vero puzzle che richiederà trattative estenuanti tra sindacati e imprenditori. Per giunta, là dove già esiste un contratto collettivo di lavoro (diffuso in parecchi settori) non si applicherà il salario minimo.
Per avere una legge di applicazione si devono prevedere tempi biblici, come sta accadendo nei due Cantoni svizzeri in cui è stato votato un principio analogo; anzi, tutto potrebbe essere annullato dai tribunali per incostituzionalità della misura. A Neuchâtel, dopo due anni di negoziati, il Parlamento cantonale ha approvato un salario minimo unico di 20 franchi l’ora, ma sono pendenti alcuni ricorsi presso il Tribunale federale, appunto per incostituzionalità (le leggi federali impediscono esplicitamente ai Cantoni di fissare gli importi dei salari… dovranno quindi essere le parti ad accordarsi). Nel Giura si discute e si litiga pure da due anni: tutto ancora vago.
E sì, la Svizzera è un po’ complicata… troppo per il giornalismo italiano. Perché i Verdi hanno raccolto le firme per sottoporre al voto l’inizitiva sul salario minimo? Dicono: per alzare le retribuzioni troppo basse per i residenti e più che laute per i frontalieri italiani.
In realtà, l’argomento è stato ribaltato dagli oppositori: il possibile aumento – sostengono – favorirebbe una vasta fascia di lavoratori frontalieri già impiegati in Ticino, ma sarebbe troppo magro per invogliare i residenti a concorrere per quei posti di lavoro. Ce n’è abbastanza per concludere che molto probabilmente questa votazione è stata un esercizio inutile di democrazia semidiretta.