«La flessibilità è un’arma a doppio taglio. Se la si attua per fare andare in pensione una persona a 62 anni anziché a 67, riducendo il suo assegno tra il 2% e il 6%, è un fatto positivo. Rendere però l’uscita anticipata troppo onerosa o troppo agevole per il lavoratore sarebbe ugualmente controproducente». A spiegarlo è Walter Rizzetto, deputato del gruppo Alternativa libera formato da fuoriusciti dall’M5S e membro della commissione Lavoro. Dopo l’introduzione della legge Fornero nel 2011, da più parti si è chiesto di rendere il sistema pensionistico più flessibile. Le proposte sul tavolo sono numerose, anche se il governo non ha ancora sciolto le riserve su quale intende adottare.
Onorevole Rizzetto, quali criteri vanno seguiti nel realizzare la flessibilità?
Se la flessibilità in uscita è troppo onerosa, nel senso che costa troppo alla singola persona che deve andare in pensione, finisce per essere fortemente disincentivata. Se invece l’uscita anticipata è troppo agevole si crea un evidente problema per quanto riguarda la spesa pubblica. Il presidente Inps, Tito Boeri, ha indicato che il costo sarebbe inizialmente pari a 8,5 miliardi di euro l’anno, per poi trasformarsi in 4-5 miliardi l’anno per i prossimi 20 anni, ma di fatto poi questa cifra diventerebbe insostenibile.
In che modo è possibile trovare un giusto equilibrio?
La flessibilità va bene purché comporti una riduzione degli assegni mensili tra il 2% e il 6%. Ma se si grava sulle tasche dei pensionandi oltre quella soglia, mi opporrò a provvedimenti che vadano in questa direzione.
Quali tra le diverse proposte la convincono di più?
La proposta migliore è indubbiamente quella di Cesare Damiano, presidente della commissione Lavoro alla Camera. Ma sono favorevole anche all’ipotesi di Boeri di estendere l’Opzione Donna anche agli uomini: fondamentalmente si tratta di un ricalcolo contributivo dell’assegno mensile. È un’ipotesi che si può valutare, in quanto personalmente sono d’accordo sul fatto che una persona debba andare in pensione sulla base dei contributi che ha effettivamente versato nel suo ciclo lavorativo.
È giusto introdurre correzioni al sistema retributivo?
I danni del sistema retributivo o retributivo misto peseranno sui nostri giovani per molti anni. È anche vero che bisogna iniziare a pensare a dei salari differenti, o comunque evitare che le persone vadano in pensione con 400 euro al mese perché ciò finisce per creare forme di disagio sociale.
Si può fare a meno della flessibilità?
No. La flessibilità è un indirizzo obbligato, come documentano gli esempi di Francia e Germania. In Francia, per esempio, normalmente si va in pensione a 67 anni. Si può anche andare in pensione dai 62 anni in su, con un taglio dell’assegno che va dal 2% al 5%. Ora anche in Italia stiamo andando verso la flessibilità in uscita dal mondo del lavoro. Personalmente ho presentato anche una proposta di legge sulla flessibilità in entrata.
Di che cosa si tratta?
Della cosiddetta staffetta generazionale, in quanto quando a una persona anziana rimangono tre-cinque anni di lavoro, bisognerebbe affiancarle una persona più giovane. È un tema di cui si parla poco, nonostante il fatto che nella legge delega al Jobs Act vi sia qualcosa in questo senso.
Per Boeri è giusto parlare di staffetta generazionale, ma non va introdotta per legge bensì con degli accordi aziendali. Lei che cosa ne pensa?
In un Paese come l’Italia, se la staffetta generazionale non è imposta dallo Stato centrale è qualcosa che non si farà mai. Serve pensare a una fase sperimentale, nel corso della quale lo Stato va a controllare quanto fanno le aziende. Lo ritengo un fatto naturale, dal momento che il governo controlla l’effettiva attuazione del pacchetto previsto con il Jobs Act con monitoraggi da parte di Inps e Istat. Anche la staffetta generazionale, considerato che probabilmente ci potrebbero essere delle storture o dei casi che non seguirebbero le direttive, almeno in una fase iniziale va verificata a fondo.
(Pietro Vernizzi)