Il Jobs Act sta generando varie e disparate conseguenze nel mondo del mercato del lavoro italiano, per questo motivo numerosi interpreti e addetti ai lavori si sono confrontati ieri mattina in un convengo pubblico in Regione Lombardia dal titolo “La rivoluzione del mercato del lavoro in Lombardia tra normative regionali e legislazione nazionale”, per poter confrontare le enormi novità che in questi mesi il mercato lombardo dovrà affrontare muovendosi tra normative regionali e nazionali. Diretto al punto e molto chiaro il piglio di Antonio Bonardo, direttore Affari Pubblici di Gi Group, azienda leader in Italia nei servizi per il mercato del lavoro: «Confido molto nel lavoro delle Commissioni Lavori di Camera e Senato e della Conferenza Stato-Regioni, oltre che a quello decisivo di tutte le parti sociali rispetto ai nuovi decreti attuativi del Jobs Act: l’intento è far capire al governo che la strada intrapresa in materia di riordino dei servizi al lavoro e delle politiche attive del lavoro, se non si prenderanno correzioni, porterà ad un enorme flop». La questione in ballo, trattata da tutti i relatori del convegno in maniera praticamente unanime, è il tentativo neanche molto nascosto di questi decreti di portare ad un’unica agenzia nazionale per il lavoro, che deleghi poi ai vari centri di collocamento territoriali l’intera gamma dei servizi al lavoro: questo però, per un modello sussidiario da anni attivo nella virtuosa regione Lombardia, sembra essere un gran passo indietro. Rincara la dose sempre Bonardo: «il modello così non va, è contro la crescita e non possiamo permettercelo. Per questo motivo, se la partita dovesse confermarsi questa, io penso che noi operatori privati come Gi Group non siamo interessati a giocarla. Noi vogliamo entrare, come già lo siamo sul territorio lombardo, nel mercato dei servizi del lavoro per poter svolgere un servizio per tutti e dove ci guadagnino tutti, ma così non sembra essere a livello nazionale dopo questo decreto attuativo del Jobs Act». Richiamando un’immagine molto evocativa, il dirigente di Gi Group spiega che se non si interviene subito sulla malattia, essa cresce e diventa poi impossibile guarire; per essere più chiari, «Gi Group, se così rimanesse la situazione anche dopo le discussioni dei prossimi mesi, non farà nessuna richiesta di ingresso nell’albo nazionale e continueremo invece con i nostri servizi privati offerti direttamente alle aziende». La speranza però nel trovare un accordo rimane, in forza anche del grande lavoro degli ultimi anni in Regione Lombardia: riuscire infatti a muoversi nel mercato del lavoro attuale con logica competitiva ed efficace, alla lunga paga: da un lato perché risponde al bisogno primario delle persone che non trovano lavoro, poi fa comodo anche alle imprese, perché in tempi rapidi possono soddisfare la loro richiesta di personale con competenze, ma soprattutto è utile al pubblico. «Il modello competitivo riesce ad innalzare anche il livello della prestazione del sistema pubblico, stando bene sul mercato ci guadagna tutto il sistema». Il problema è che con un anacronistica e fuori tempo massimo centralità del settore pubblico, tale competitività sul mercato non si raggiungerà mai; questo il vero fulcro e il lascito dell’importante convegno tenutosi nel centro della regione più in lotta su questi temi con il governo centrale per cercare di trovare una via di rimedio sul sistema del mercato lavorativo nazionale.
Il convegno lombardo è stato attraversato da tre iniziali relazioni riguardanti tutte, da punti di vista diversi, gli effetti dei primi decreti attuativi del Jobs Act sul nostro territorio: di grande interesse il primo intervento del professor Mario Mezzanzanica, Direttore scientifico del Crisp della Bicocca, che ha illustrato con alcune slide il mercato del lavoro al momento attuale. Oltre alla forte mobilità, è stato indagato l’indice di attrattività delle varie tipologia di contratto, in cui emerge il dato positivo della crescita nel 2015 dei tempi indeterminati, frutto sì del Jobs Act e dei sui incentivi economici e fiscali ma che conferma un trend in leggera crescita. Il problema rilevato però dall’indagine si riferisce alle politiche attive, che sembrano essere mancanti nei decreti attuativi del Governo, un caso su tutti: «La composizione di un’unica agenzia per impiego del lavoro è una ingessatura e non un vantaggio, questo è assolutamente da evitare. Non possiamo spendere soldi per cose già vecchie come concezioni, davvero non possiamo fare più passi falsi», ha chiosato Mezzanzanica nelle sue conclusioni. Nella tavola rotonda successiva alle relazioni – le altre sono state tenute da Gianpaolo Montaletti (Direttore vicario ARIFL) e Rinaldo Carnevali (centro studi Uil Lombardia) centranti rispettivamente le specifiche conseguenze del JobsAct su contratti efficaci e casse integrazione – l’intervento di Bonardo è stato preceduto dall’affondo molto polemico con l’operato del governo di Massimo Bottelli di Assolombarda, che ha sottolineato come un aumento di burocrazia e dirigisimo non sia mai un bel segnale, per lo più nel 2015, tempo massimo scaduto. A chiusura degli interventi e rappresentando regione Lombardia, brillante è giunto l’apporto di Gianni Bocchieri (Direttore Generale dell’assessorato all’Istruzione, Formazione e Lavoro) il quale, riprendendo Bonardo, ha concluso: «I contratti a tutele crescenti sono un buon passo ma non bastano senza le politiche attive: la dote unica lavoro della Lombardia (Dul) nasceva ed esiste proprio per porre rimedio ai problemi di attuazione delle politiche attive di cui si dice tanto ma si fa molto poco. Come regione abbiamo cercato di evitare l’odiosa funzione di organo centrale dirigista, cercando invece di animare la competitività». Nello specifico per Bocchieri il decreto del governo sbaglia laddove rende vuoto il sistema di assegno di ricollocazione, che invece doveva essere il fulcro da cui ripartire; «non hanno voluto chiamarlo “dote”, benissimo, ma mi aspettavo che prendessero più spunto dal nostro sistema di sostengo sussidiario al lavoro dei cittadini, ma così non è, almeno al momento». In Lombardia tutto ciò funziona per la concezione primaria che sta all’origine del mercato lavorativo, dove infatti l’assegno di ricollocamento viene erogato subito nel momento in cui il lavoratore è sostenuto da un ammortizzatore sociale, non sei mesi dopo come prevede il decreto nazionale. Conclude Bocchieri, con l’accorso e consenso di tutti i presenti intervenuti: «Bastavano pochi fatti semplici, bastava dire che la politica attiva andava pagata solo a risultato ottenuto, ma questa forma di competizione evidentemente non piace». Ora invece, come sembra avvenire se non verrano fatte modifiche ai decreti, non esiste più l’indifferenza tra privato e pubblico purché si riveli efficace e funzionante, ma vi sarà un’imposizione del sistema pubblico “pachidermico” ed in maniera lenta: l’esatto contrario della velocità che richiedono mercato e cittadini.