Sta per nascere l’Anpal (Agenzia nazionale per le politiche attive e il lavoro), finalmente una riforma organica dei servizi pubblici per l’impiego e del politiche attive del lavoro. Nella riforma, ancora da definire negli ultimi passaggi, vi sono molti aspetti condivisibili: un modello di accreditamento nazionale che stabilisce standard minimi in tutta la nazione (nei fatti formalizza l’Accordo Stato/Regioni sul tema del 2008); un portale on-line per la profilatura e lo sviluppo di un “fascicolo del lavoratore” (speriamo sia la volta buona, è da almeno 10 anni che il ministero dovrebbe sviluppare un modello simile e non c’è mai riuscito); una definizione chiara ed esplicita dei Livelli essenziali di prestazione da garantire su tutto il territorio (un rimpasto organico della L.181/2000).



Tuttavia, dentro la riforma c’è anche quella che possiamo definire una vera e propria “boiata pazzesca”, ovvero il fatto che una volta data da parte del cittadino l’immediata disponibilità ad accettare corsi di formazione e riqualificazione, entro 60 giorni, dovrebbe giungere una «congrua offerta di lavoro», rispetto al proprio fascicolo elettronico. 



Non è bastato il totale fallimento della Garanzia Giovani, ovvero la garanzia di un lavoro entro quattro mesi dalla propria iscrizione. Un principio “ambizioso” e nello stesso “delirante” (uso un eufemismo, ma in questi casi sarebbe opportuna utilizzare un altro termine). Ovviamente al giovane si poteva garantire invece di un lavoro, anche un percorso di riqualificazione o formazione professionale, ma queste attività nascondo fenomeni di “parcheggio” in attività che non portano a nessun lavoro e in Italia sono stati degli ottimi “banchetti” di risorse pubbliche per molti enti formativi, basti pensare alla disastrosa e fallimentare esperienza delle politiche attive ai cassa-integrati, forse la peggiore politica del lavoro in Europa negli ultimi 10 anni.



Torniamo ad Anpal: come si può anche lontanamente pensare di garantire un lavoro entro 60 giorni e “congruo” alle proprie aspettative, in un mercato del lavoro che vede la disoccupazione giovanile galoppare verso il 45%. Ovvio che tale principio sarà completamente “inevaso”, frutto di critiche infinite che butterà al macero le cose “buone” di questa riforma. 

Lo dico anche basandomi sull’esperienza internazionale, a eccezione dei modelli sovietici anni ’60, dove avrei dei seri dubbi che nel “paradiso” dell’Urss l’offerta garantita dallo Stato fosse “congrua” alle proprie aspettative, non esiste da nessuna parte questo principio. Non sarebbero capaci di garantirlo nemmeno i paesi scandinavi o la locomotiva tedesca. 

In conclusione, aggiungo: come si può pensare di realizzare la riforma dei Centri pubblici per l’impiego investendo 140 milioni di euro, contro almeno i 500 necessari. Il ministero del Lavoro dovrà licenziare almeno tre quarti del personale dei Cpi: personale che non deve sicuramente preoccuparsi, ormai c’è l’offerta congrua!

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