“La richiesta del Pd è consentire a tutti di andare in pensione a 62 anni, con una penalizzazione massima dell’8% per chi ha 35 anni di contributi e nessuna penalizzazione per chi ne ha 41”. Marialuisa Gnecchi, membro della commissione Lavoro alla Camera ed eletta nel Partito Democratico, sintetizza così la principale proposta contenuta nei sette disegni di legge presentati dal suo partito per consentire una maggiore flessibilità pensionistica. I documenti confluiranno in un testo unico elaborato da tutti i partiti che siedono in commissione, quindi la palla passerà alla Ragioneria dello Stato che farà i conti sui costi per il bilancio pubblico.
La proposta più famosa è la 857 firmata da Cesare Damiano. Ci vuole illustrare i contenuti delle altre?
La proposta di legge 1.881 prevede il ripristino di una gradualità per le pensioni di vecchiaia delle donne. La manovra Fornero ha innalzato l’età per la pensione di vecchiaia di due anni dal primo gennaio 2012. Siccome però nessuna donna può avere compiuto due anni nella notte tra il 31 dicembre 2011 e il 1 gennaio 2012, finisce che devono tutte aspettare tra cinque e sette anni in più. La 1.881 ripristina una gradualità, prevedendo inoltre il riconoscimento di due anni per ogni figlio, dei periodi di cura ai figli stessi e di assistenza ai familiari disabili. Tiene dunque conto di tutte le situazioni legate a quelli che sono i lavori di cura.
Lei è prima firmataria della proposta di legge 530. Quali novità mira a introdurre?
La proposta 530 è dedicata al riconoscimento universale della maternità, con tre anni di contribuzione figurativa per ogni figlio e sei se il figlio è disabile. E poi ci sono altre quattro proposte presentate dal Pd in momenti diversi, in alcuni casi con differenze solo parziali tra loro, per vedere se ci riusciva di farle approvare.
Alla fine però si sono tutte arenate. Come farete a farle tornare in pista?
Tutte le varie proposte di legge, del Pd e non solo, saranno messe all’ordine del giorno della commissione Lavoro con l’obiettivo di farne un testo unico. Quando avremo i calcoli della Ragioneria procederemo a togliere quanto sarà incompatibile con i limiti di bilancio.
Dove troverete le coperture?
È una cosa che andrà valutata, ma lo stesso premier Renzi continua a dire che bisognerà fare qualcosa per le pensioni. Come si sono trovati i 2,2 miliardi di euro per la perequazione dopo la sentenza della Corte costituzionale, così si troveranno anche dei soldi per la flessibilità.
Tra le ipotesi sul tavolo c’è anche Opzione Donna estesa agli uomini. Lei come la valuta?
L’ammontare dell’estensione di Opzione Donna è pari a 15 miliardi di euro. È dunque più costosa della proposta Damiano (costo stimato in 8,5 miliardi, Ndr).
Dal momento che è basata sul contributivo, non dovrebbe essere a costo zero?
Sì, ma consentirebbe di andare in pensione a partire dai 57 anni. Sarebbe a costo zero solo per chi si ritirasse dal lavoro a 66 o 67 anni, e quindi nella realtà non ci sarebbe nessun vantaggio.
Ma il contributivo non si basa sull’idea che uno riceva un assegno proporzionale ai contributi versati?
Sì, ma a essere determinante da questo punto di vista è l’aspettativa di vita. Se uno inizia a prendere la pensione a 57 anni, riceverà l’assegno per dieci anni in più rispetto a chi si ritira dal lavoro a 67. Già nel corso della scorsa legislatura, il 29 giugno 2012 il ministro del Lavoro, Elsa Fornero, era intervenuta in aula alla Camera proprio sulla questione dell’estensione di Opzione Donna. Giuliano Cazzola, all’epoca vicepresidente della commissione Lavoro alla Camera, aveva presentato un emendamento alla proposta 224 sulle pensioni, e la Ragioneria aveva quantificato i costi in 15 miliardi.
(Pietro Vernizzi)