Recentemente sono apparsi sulla stampa alcuni articoli che affrontavano il tema dell’automazione nei processi di ricerca e selezione del personale. Addio ai colloqui per l’assunzione tanto la selezione la fa l’algoritmo. Questo era argomentato con una serie di esperienze straniere che hanno automatizzato i processi per le assunzioni attraverso algoritmi con i quali i cacciatori di teste possono incrociare le informazioni sui candidati e ottenere un beneficio nel processo di selezione. 



Di quali vantaggi parliamo? Produzione di short lists a partire da grandi masse di dati, in sostanza una preselezione che permette di ridurre il campo di indagine. Riduzione degli elementi soggettivi che incidono sul processo di selezione individuando le parole chiave utili tramite l’analisi semantica dei CV. 

In realtà, l’esigenza del processo di ricerca e selezione, alla quale si vuole rispondere, riguarda la capacità di trovare con una certa rapidità, ovvero prima dei miei concorrenti, il candidato “giusto” alla richiesta del cliente. Quindi, la necessità di allargare il campo di indagine obbliga le agenzie specializzate alla ricerca e selezione a processare imponenti masse di CV per trovare i candidati da incontrare. È curioso il fatto che le principali banche dati vengono utilizzate come fonte informativa dagli stessi operatori del settore andando, di fatto, a duplicare l’azione di indagine verso la persona. Ma questo non è il punto.



L’esigenza di migliorare il processo di ricerca trova la principale risposta nell’automazione? Dall’esperienza del nostro lavoro emerge un elemento chiaro: nella selezione del candidato le competenze tecniche cominciano ad avere un forte concorrente nelle cosiddette competenze “soft” che possono incidere anche fino al 40% nella decisione finale. Questo è il motivo per il quale, al momento, è improbabile che l’algoritmo sostituisca un incontro tra persone.

Ma quali sono queste “soft skills”? Sono quelle competenze che la scuola non insegna, quell’insieme di qualità di un individuo in termini di conoscenze, capacità, abilità, doti professionali e personali, che costituiscono il vero valore aggiunto del lavoratore. Per alcuni head hunters i migliori candidati sono quelli “pronti a tutto e preparati a nulla” perché è facile formare un tecnico specializzato, ma è più difficile trovare qualcuno che si metta in gioco, che sappia rapportarsi con le persone e, soprattutto, guidarle in uno scenario nel quale prevale l’incertezza.



In una recente indagine realizzata dalla multinazionale del lavoro Manpower “Soft Skills for talent” è stato messo a fuoco il tema delle competenze trasversali più richieste nel mercato del lavoro. L’indagine è stata svolta in collaborazione con l’Università di Firenze, Dipartimento di Scienza della Formazione e Psicologia. Lo scopo è aggiornare l’Osservatorio nazionale sulle competenze trasversali (soft) riconosciute e richieste dal marcato.

È stato individuato un set di competenze soft su tre livelli di ruoli organizzativi fondamentali: ruoli operativi, ruoli manageriali, ruoli dirigenziali. È stato individuato un set di competenze per ciascun ruolo e il tutto è stato proposto a un campione di circa 600 imprese. L’idea di fondo è che alcune competenze evolvono durante lo sviluppo della carriera. Ad esempio, la capacità di comunicazione necessaria a livello operativo diventa persuasione nei manager e capacità di negoziazione del livello executive.

L’indagine rileva che le competenze più richieste per i ruoli operativi e di entry level riguardano la capacità di saper lavorare in un gruppo e l’orientamento al raggiungimento di un risultato, non arretrando di fronte alle difficoltà. A livello individuale è richiesta anche una certa flessibilità cognitiva, ossia l’attitudine a mostrare interesse e curiosità verso le nuove opportunità. Chiudono il set ideale di caratteristiche altre due competenze che rientrano nella sfera operativa, ossia l’iniziativa e l’energia, essenziali per emergere in un gruppo e fare la differenza.

Dall’analisi risulta che le aziende multinazionali hanno particolare sensibilità verso l’orientamento al risultato (70% di preferenze) ed è richiesta anche una maggiore collaborazione tra i membri del team. La fotografia che emerge a livello generale dalle competenze segnalate per i ruoli manageriali delega a questo livello la necessità di fornire soluzioni concrete e/o alternative ai problemi quotidiani, facendo confluire e armonizzando i contributi dei vari collaboratori. La capacità poi di pianificare le attività definendo urgenza e importanza di ogni singola fase chiude il quadro delle tre caratteristiche essenziali. Prevalgono, dunque, a questo livello competenze di tipo cognitivo e operativo, rispetto a quelle relazionali o emotive.

Ai ruoli manageriali di aziende multinazionali è richiesto di prendere decisioni in autonomia, così come una maggiore proattività, mentre le aziende con sola sede in Italia descrivono maggiore importanza rispetto alla capacità di pianificazione e senso di concretezza. Per i ruoli dirigenziali/executives si mostrano preponderanti le competenze di leadership e visione strategica, essenziali per tenere salde le redini del contesto organizzativo. Sicuramente interessante è il risultato raggiunto dalla capacità di sviluppare talenti ossia di far crescere i potenziali interni all’organizzazione ai fini del raggiungimento di standard d’eccellenza. Le aziende multinazionali prediligono maggiormente la visione strategica e la leadership in questi ruoli, mentre in Italia si dà più rilievo alla capacità di organizzare nella pratica un’azienda.

I risultati di questa parte dell’indagine rappresentano il vero valore aggiunto della ricerca, dal momento che offrono numerosi spazi di riflessione. Innanzitutto il dato si presenta più frammentato dal momento che non esiste una base di esperienza comune sul quale fondare risposte certe o interpretare con sicurezza le necessità future. L’agilità, intesa come l’essere capaci di svolgere più attività contemporaneamente e generare idee valide e innovative per il proprio contesto, è sicuramente caratteristica desiderabile. Ma più di una persona su tre segnala l’esigenza di etica professionale come capacità di valutare l’impatto delle proprie azioni sugli altri nel rispetto di norme giuridiche e morali come caratteristica essenziale per il futuro. 

In conclusione, possiamo affermare che la ricerca della persona “giusta” riguarda sempre più le competenze trasversali caratteristiche dello “spessore della persona”, in sostanza la capacità di stare e affrontare il reale in tutte le sfide che pone con curiosità, sacrificio, leadership e disponibilità al cambiamento. La selezione di lavoratori con queste caratteristiche può essere esercitata da un algoritmo? Credo proprio di no e anzi la sfida è proprio ai selezionatori nel diventare capaci di vedere lo “spessore” delle persone incontrate.