«Tenere al lavoro persone demotivate non serve a nulla e d’altra parte le penalizzazioni danneggiano l’economia. Meglio pensare a soluzioni come Quota 100 o a sostituire una parte dell’assegno in buoni acquisto per chi si ritira dal lavoro prima del previsto». È il commento di Nino Galloni, economista e membro effettivo del collegio dei sindaci dell’Inps, alle proposte presentate dal Partito Democratico per favorire la flessibilità pensionistica. La principale è il ddl 857 il cui primo firmatario è Cesare Damiano, presidente della commissione Lavoro alla Camera dei Deputati. Il testo prevede di poter andare in pensione a 62 anni con 35 di contributi e una penalizzazione dell’8% oppure con 41 anni di contributi e nessuna penalizzazione.



Professor Galloni, che cosa ne pensa del ddl Damiano?

Le penalizzazioni non sono certo una bella cosa, in quanto rappresentano l’eredità di un sistema basato sull’austerità e sulla perdita della sovranità monetaria. Invece di introdurre delle penalizzazioni, basterebbe prevedere che una parte della pensione sia pagata in buoni acquisto o in voucher, in modo da attenuare l’ammontare della stessa penalizzazione. Ritengo quindi che la proposta del Pd vada implementata con l’opportunità di coprire la parte penalizzata con dei buoni acquisto, in modo da non far perdere capacità di acquisto ai pensionati.



Quali tra le proposte del Pd la convince di più?

Tra le proposte del Pd mi convincono abbastanza le quote. Qui si parla di “Quota 100”, che ovviamente è piuttosto elevata, ma che è interessante in quanto applicata senza penalizzazioni. Inoltre c’è la questione relativa alle donne che hanno perso anni di contributi perché sono state in maternità. In questo caso però ci sono delle penalizzazioni, e quindi le donne, pur di stare in casa, rinunciano a una parte della pensione. Questo però poi non genera un effetto economico positivo.

Perché?

Penalizzare i pensionati non ci aiuta a ridurre il rapporto debito/Pil, bensì lo peggiora. Noi dobbiamo compiere anche una valutazione macroeconomica, e non soltanto contabilistica o microeconomica. Va inoltre tenuto conto del fatto che introdurre delle penalizzazioni richiede un cambiamento del sistema, in grado di riconoscere l’assegno sulla base di calcoli statistici attuariali a partire dai contributi versati. Se noi agganciamo l’andamento delle pensioni a una variabile di crescita, quest’ultima non può poi essere considerata come stazionaria o negativa.



Lei in pratica propone una flessibilità a costo zero per i pensionati?

Esatto, perché questo fa crescere l’economia e quindi riduce il rapporto debito/Pil. O meglio, si potrebbe monetizzare la penalizzazione erogando la cifra corrispondente non in euro ma in buoni acquisto.

Non crede che togliere le penalizzazioni finisca per creare squilibri di bilancio?

Lo squilibrio di bilancio si genera perché l’economia non cresce abbastanza, e non in quanto le persone si ritirano dal lavoro troppo presto. E poi non stiamo parlando di baby pensionati, bensì di gente che ha compiuto 60 anni.

 

Se non c’è nessuna penalizzazione, perché io dovrei continuare a lavorare fino a 67 anni?

A che cosa serve che lei lavori fino a 67 anni, se non interessa a lei e non ne ricava un vantaggio, un piacere o un guadagno? Il guadagno è che lavorando lei è pagato in euro, mentre se va in pensione qualche anno prima è parzialmente pagato in “valuta parallela”.

 

Se la valuta parallela vale gli stessi euro che otterrei lavorando, non ne ricavo nessun guadagno economico…

Con i buoni acquisto una persona però è costretta a comprare per esempio dei generi alimentari, mentre con i soldi può prendere quello che vuole.

 

Resta il fatto che se uno che continua a lavorare non ne ricava nulla di più…

Non è vero che non ne ha nessun guadagno, perché viene pagato in euro. Mentre se uno va in pensione, con quella parte dell’assegno corrispondente alle penalizzazioni che è pagato in buoni acquisto può comprare solo prodotti alimentari nella catena che aderisce a questo sistema.

 

(Pietro Vernizzi)