Il riordino dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, è questo il punto più arduo del percorso a cui è arrivata la riforma del lavoro. L’esito che ne scaturirà avrà effetti rilevanti sui quasi 7 milioni di persone senza una vera occupazione, su quanti cercheranno un nuovo lavoro, sugli operatori pubblici e privati che offrono i servizi, sull’impresa stessa e nel complesso interverrà sulla competitività del sistema Paese.
Per cogliere le opportunità che la riforma può portare con sé, pertanto, occorre partire da tre punti fermi: centralità della persona e non degli erogatori dei servizi, tempi di risposta in linea con le esigenze del mercato, efficienza nei processi.
Chi cerca una occupazione da molto tempo o anche da soli pochi mesi, deve poter “entrare” nel sistema dei servizi in maniera chiara e veloce (profilazione web based, dichiarazione di immediata disponibilità, accettazione della condizionalità) potendo poi scegliere liberamente a quale soggetto accreditato rivolgersi. Qui la polemica pubblico-privato è sterile e per certi versi fuorviante: il valore da preservare è la non sovrapposizione dei vari soggetti nei processi e la continuità nell’assistenza al lavoratore (oggi purtroppo condannato troppo spesso a fare il “pacco postale” da un ufficio all’altro). Inoltre i temi di impresa impongono un ripensamento su quanto finora previsto dalla normativa de iure codendo in tema di formazione: prevedere una trafila amministrativa che nella migliore delle ipotesi si conclude in un mese prima di dare corso alla formazione di lavoratori risponde a logiche amministrative, meno a quelle di mercato. Lo sanno bene le Agenzie per il Lavoro che, attraverso Formatemp, finanziano con risorse private corsi formativi per circa 200mila persone l’anno. Tempi di attivazione rapidissimi, stretto collegamento a una reale occasione di lavoro e precisi obblighi di placement fanno di FormaTemp un modello su base europea; è un fondo di natura privatistica sottoposto alla vigilanza del Ministero del lavoro le cui risorse sono intimamente legate ad un obbligo di reale collocazione delle persone nel mondo del lavoro. Se avessero lo stesso collegamento al risultato – al collocamento di chi segue i corsi – anche tutti gli enti di formazione che utilizzano risorse pubbliche, potremmo avere un mercato del lavoro probabilmente diverso e sicuramente meno lontano dagli standard europei.
Per garantire l’efficienza di sistema occorre in conclusione procedere su più fronti: la prevista nuova Agenzia Nazionale per il Lavoro rappresenta l’occasione per superare certe frammentarietà riconducibili ad un regionalismo imperfetto che hanno nuociuto al mercato del lavoro più di quanto sia emerso nei dibattiti pubblici sul tema. Prevedere requisiti e standard univoci a livello nazionale per gli operatori, evitando duplicazioni di iscrizioni da regione a regione, è un obiettivo non solo possibile ma imprescindibile. Prevedere un sistema di rating che misuri le performance di quanti si propongono di accompagnare le persone verso una occupazione o una nuova occupazione è ormai divenuto davvero indispensabile. Solo così, con un metro di giudizio univoco, si metteranno realmente le persone in una condizione di autodeterminazione consapevole nella scelta del provider dei servizi di cui hanno bisogno e a cui hanno diritto.



Agostino Di Maio, Direttore di Assolavoro (Associazione Nazionale delle Agenzie per il Lavoro)

L’intervento è proposto ai lettori de Il Sussidiario da Gi Group

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