Riforma pensioni 2015 «La flessibilità può essere sostenibile nel medio-lungo periodo, ma nell’immediato creerebbe uno squilibro di cassa difficilmente risolvibile». Lo afferma Maurizio Del Conte, professore di Diritto del lavoro all’Università Bocconi di Milano. La flessibilità previdenziale è al centro da tempo di una discussione da parte di politici e addetti ai lavori, dopo che la riforma delle pensioni Fornero del 2011 ha spostato verso i 67 anni l’uscita dal mondo del lavoro.



Professore, Renzi ha promesso di intervenire sulle pensioni nel 2018. Ritiene che sia più urgente ridurre l’imposizione Irpef per i pensionati o introdurre la flessibilità? È più urgente introdurre la flessibilità. La flessibilità garantisce da un lato un maggior ricambio nell’occupazione, e quindi aiuta a sbloccare le difficoltà dei giovani nel trovare lavoro. Dall’altra lenisce le ferite lasciate dal brusco innalzamento dell’età pensionabile introdotto con la riforma Fornero.



Ritiene che una maggiore flessibilità sia praticabile? La flessibilità presenta problemi più di cassa che di copertura vera e propria. È evidente che una manovra sulla flessibilità vada fatta a invarianza di costi, anche se quest’ultima nella materia previdenziale si calcola nel lungo periodo. Nel breve periodo invece si crea un problema di cassa.

E quindi? Se si concede un anticipo all’uscita dalla pensione, pur con una riduzione della prestazione previdenziale, questo può funzionare nel momento in cui il sistema entra a regime. Per l’Inps però un anticipo dell’età pensionabile o dei requisiti pensionabili minimi costituisce immediatamente un problema da finanziare. Anche se poi lo recupera negli anni con una minore spesa in termini di prestazioni. Il nodo è vedere come sia possibile ottenere gli indubbi vantaggi della flessibilità con una sostenibilità però nell’immediato dal punto di vista delle casse dell’Inps.



Il presidente Boeri ha proposto di tassare le pensioni più ricche per introdurre un reddito di cittadinanza per gli over 55 che perdono il lavoro. È una buona idea? La ritengo una scelta politica, e che quindi spetterà poi al legislatore. Il reddito minimo di cittadinanza è un tema che può legarsi alla partita previdenziale, ma che non lo è necessariamente. Questo strumento può essere finanziato con un prelievo dalle pensioni più alte, ma anche da altre parti del bilancio dello Stato, per esempio con la spending review. I problemi si incrociano e vanno risolti distintamente. In primo luogo, bisogna capire se e quanto si voglia investire in questa misura. Una volta capiti quali sono i costi, bisogna individuare la fonte di finanziamento. Quella proposta da Boeri è una delle possibili opzioni, ma non è certamente l’unica.

Secondo lei, è arrivato il momento per una nuova riforma delle pensioni?

Pur avendo creato problemi in termini di turnover generazionale, la legge Fornero ha messo in sicurezza i conti. Oggi quindi non c’è un’urgenza immediata di rimettere mano alle pensioni. La situazione è in equilibrio, e si tratta semplicemente di capire se utilizzare la leva delle pensioni per smuovere il mercato del lavoro. Personalmente non la ritengo una priorità assoluta.

 

Quali sarebbero secondo lei le priorità?

Sarebbe più opportuna una verifica dell’impatto del Jobs Act sul mercato del lavoro, e quindi di quante nuove assunzioni ci saranno. Ma soprattutto sarà importante capire che cosa si intende fare a proposito della decontribuzione. Per il 2015 è stata portata a zero sulle nuove assunzioni a tempo indeterminato. C’è il grande tema su che cosa fare per il 2016 e i tre anni successivi. È una questione da risolvere se non prima quantomeno insieme alla riforma delle pensioni. Solo avendo chiaro il quadro delle grandi voci di spesa che vanno a incidere sul mercato del lavoro, si può poi effettuare una programmazione del mercato del lavoro.

 

(Pietro Vernizzi)