La crisi greca ha da giorni posto tutto il resto in secondo piano, tanto che a Torino, dove mercoledì dovevano annunciare il rinnovo del contratto Fca, hanno pensato bene di rinviare l’annuncio – per il momento – al 7 luglio, salvo controindicazioni. Del resto, di questi tempi, un contratto che si rinnova è una notizia e, giustamente, azienda e sindacati vogliono il loro spazio in tv e sulle pagine dei giornali.



Come si richiamava in un recente articolo, l’ultimo accordo interconfederale (2009) è scaduto da oltre due anni. E nel frattempo le confederazioni hanno preso qualche forte contraccolpo: prima il ciclone Marchionne, poi Matteo Renzi e, anche, la scheggia impazzita Maurizio Landini. Il caso Fiat, con il suo iter giudiziale, rende evidente che il re è nudo: si può legittimamente contrattare al di fuori del sistema confederale. E se le aziende uscite da Confindustria si associassero e creassero un nuovo soggetto?



Matteo Renzi ci ha provato e gli è andata bene: dalle Confederazioni non vuole condizionamenti, lui va per la sua strada. E alla fine Landini, uomo forte del sindacato: d’accordo o non d’accordo su come la sua federazione si muova sul piano organizzativo, non c’è dubbio che sia stata l’unica voce autorevole a porre in discussione – ma nessuno sembra essersene accorto – il potere e il ruolo delle confederazioni.

Dai vertici di Cgil, Cisl e Uil, e di Confindustria, si dice che si sta lavorando alacremente al nuovo accordo interconfederale. A parte il ritardo con cui si arriva a questo rinnovo, viene da chiedersi quale funzione abbia. Mentre all’interno di alcuni settori sono maturate intese per accordi e rinnovi, appunto, di settore (vedi, ad esempio, chimica ed edilizia), si aspetta che l’intesa si formalizzi prima sul piano interconfederale. Le federazioni da tempo pazientano rispettando il ruolo delle confederazioni, ma la sensazione è che se dovesse passare l’estate senza il nuovo modello, da settembre le federazioni procederanno con i rinnovi dei loro accordi.



La situazione in sintesi è questa: la ridefinizione di un equilibrio tra federazioni e confederazioni. Ma non mancano le contraddizioni. Se, come più volte annunciato un po’ da tutti, ci sarà più spazio per la contrattazione aziendale, perché – come ne consegue logicamente – le confederazioni non annunciano un passo indietro? Se, come significativamente dichiarato da Giorgio Squinzi, il nuovo accordo non andrà a forzare storie, esperienze e culture dei settori – nel senso che chi è più abituato a contrattare a livello nazionale potrà continuare a farlo e chi vorrà contrattare più aziendalmente sarà più libero di farlo – a cosa serve un nuovo modello? A parte la difficoltà di arrivare a questa nuova intesa, ma non è sufficiente formalizzare la possibilità per le federazioni di muoversi come meglio credono?

In molti paesi europei, le confederazioni nemmeno esistono. In Italia, Paese in cui continueranno a esistere, è più che mai il momento di capire quale funzione avranno. Non ne siamo molto lontani e non ci sono dubbi che sarà un passaggio importante per il lavoro.

 

In collaborazione con www.think-in.it

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