Dovremmo esserci. Oggi è l’Inps Day di Boeri, quando tra i “ballons d’essai” suoi e di Treu (già ex commissario straordinario Inps, battuto sul filo del traguardo della presidenza Inps proprio da Boeri e ripiegato a formulare la sua proposta dalla collinetta del Cnel a Roma) finalmente conosceremo nella sua forma definitiva la proposta per riformare gli estremi della legge Fornero sulla pensione anticipata e la flessibilità. Qualcuno dice con qualche giorno di ritardo dovuto alla fatica di trovare una quadratura tra il pensiero Boeri e l’adattabilità allo stato della situazione che registra sullo sfondo, dove l’attenzione della Commissione europea a Bruxelles è stata commentata da Renzi.
Il Presidente del Consiglio ha sottolineato che mentre Tsipras promette riforme, noi le abbiamo già fatte. Il timore che si registra in modo abbastanza generalizzato, a partire dalle nostre Commissioni parlamentari è che la posizione di Bruxelles orientata a fare muro di fronte a tutto ciò possa prefigurare come un “fuori percorso greco post-referendario” proietti la sua ombra anche su quanto necessiti al nostro Paese per porre mano a ciò che pur impostando risparmi di lungo periodo, di fatto ha comportato esborsi consistenti (12 miliardi di euro circa) per correggere errori insiti nella riforma.
La prima riflessione spontanea che viene, guardando alle varie posizioni, è una: la polarizzazione del dibattito dove l’ombra Ue è il convitato di pietra capace di decidere in modo ultimativo in quale direzione l’Italia debba andare e in che modo, con il suo sistema pensionistico. Se è vero che l’equilibrio è condizione necessaria e imprescindibile, altrettanta condizione necessaria è che la contabilità possa valutare in modo sereno come procedere per attuare il cambiamento alla luce di un’esigenza di equità e di adeguata posizione economica e sociale imprescindibile. Quest’ultima non è affatto estranea, bensì convergente, aduna modulazione di flussi finanziari di risparmio e di scelte d’investimento, atte a sostenere, non ultimo e non minimale come obiettivo, anche la domanda interna di una fascia anagrafica di peso consistente nell’attuale demografia economica dell’Italia.
Nelle scelte di politica economica bisogna essere sempre consapevoli che esiste un indirizzo preferito anziché un altro. Nelle scelte che poi riguardano una situazione articolata, complessa e con notazioni di gravità già sperimentate, gli indirizzi spesso alternativi, che siano di destra, di centro o di sinistra, finiscono per buona parte a doversi misurare con la stessa situazione e a convergere per provvedimenti che poi non sono più di destra e di sinistra, ma che devono avere alla loro base onestà intellettuale e responsabilità politica erga omnes. E questo deve avvenire anche se la storia ci mostra che le forzature di parte, dirette a un risultato di breve periodo e di attribuzioni di meriti (e di risultati politici) a chi se ne fa portatore, se hanno un qualche successo, pagano un prezzo più alto, sia nel tempo sia per le condizioni che perpetuano, sia in quelle che creano ex novo.
E qui arriviamo al conquibus. Orbene se il problema del viatico europeo è quello del convitato che ha posto (o viene detto che abbia posto) come condizioni essenziali non solo (perché già noto) il mantenimento di compatibilità spesso anche difficili per i Paesi interessati, ma anche una stretta di difficile comprensione, perché ora contabile pura, ora di mera imputazione, concentriamoci dunque sul problema.
Senza ripetere estremi di un dibattito già noto, mi si dice che se un lavoratore vuole andare in pensione prima, sfruttando la flessibilità, deve perdere un tot di valore dell’assegno all’anno misurato dalla differenza tra l’anno in cui sceglie di pensionarsi e quello in cui per percorso naturale della legge sulle pensioni dovrebbe andare via. Si tratta di una penalizzazione motivata dal fatto che sia per l’uscita prematura, sia per l’evoluzione della speranza di vita, in fondo guadagnerebbe di più rispetto a ciò che in termini attuariali non ha pagato.
Bene. Capovolgiamo il discorso. Cosa accade se invece al pensionando si offre la libertà di scelta, sempre naturalmente fissando una soglia minima obbligatoria che sia un “floor flat” rispetto al “cap normativo mobile” che si muove dai 66 anni per andare oltre e verso i 70 in un Paese dove la creazione di posti di lavoro e la riduzione della disoccupazione giovanile passa anche attraverso la flessibilità e la sostituibilità del lavoratore anziano con il disoccupato pronto a diventare lavoratore giovane a tutele crescenti? Un silenzio a questo principio, molto simile alla “damnatio silentii “dell’antica Roma, come può interpretarsi?
La classe politica di governo o meno non sa quale soglia produrre e come creare la griglia età/contributi per applicare questo principio? I tecnici ovunque presenti nel corpus istituzionale dei dicasteri e di enti preposti (l’Inps ha tutte le credenziali per fare proposte, sottolineò Boeri) o nel corpus para-istituzionale dei sindacati o delle associazioni di categoria datoriali o meno, non sono in grado di sapere quanto possa versare un pensionando per cogliere l’opportunità di andare in pensione prima, comprendendo che a una soglia di età deve corrispondere un montante di contributi da raggiungere? Montante di contributi ? Certo siamo in un sistema contributivo a far data da….
A Boeri piace fare come Giano: essere bifronte. Ecco perché in tutte le sue dichiarazioni, forse confermate nell’Inps Day c’è sempre stato e forse ci sarà un RI in più ! Sì, è il RI del calcolo cioè il famoso ricalcolo contributivo, dove il prefisso scardina il pregresso, estendendo retroattivamente la decorrenza della Fornero fino a ricomprendere i due step di Amato e Dini.
Se io pensionando so di non poter raggiungere il montante fissato, so che per quell’anno non potrò andare in pensione, ma se lo posso fare il mio potere di acquisto non perderà quel valore che maggiore o minore tutti gli estensori delle proposte di riforma hanno messo in conto. Quindi ora ci troviamo a leggere di quanto dovrò perdere anziché di quanto dovrò investire per garantirmi un’uscita: aspetto questo che non sarebbe affatto negletto nelle contrattazioni settoriali in tutta Italia, coinvolgendo in un principio negoziale ed alla luce di un preciso indirizzo governativo, le parti sociali.
Se l’Inps, il Cnel e tanti luoghi di alto pensiero, compresi i centri studi come il Cerp, quelli sindacali, le Commissioni parlamentari e i dicasteri interessati avessero posto intelletto e mano (in tutto questo tempo di allarme e di intenso far fronte alle situazioni più svariate) a impiegare parte del loro tempo su questo problema che ha una centralità per l’equilibrio macroeconomico del Paese, forse a mio modesto parere, qualche elemento più consistente a un dibattito già corposo, ma spesso banalizzato a livello di chiacchiere stampa, ci sarebbe stato.
Non resta che augurarsi che la presenza del convitato di pietra sia quindi talmente forte da rimandare a un tempo successivo la possibilità di una riforma meglio meditata. Meglio allora una gestione del corrente e lavorare in parallelo su un principio difficile ma corretto in grado di generare una condizione solida ma non negativa, piuttosto che tagliare qua e là dicendo che abbiamo salvato il salvabile e di più non si poteva fare. Ve la ricordate la storiellina dei gattini ciechi?