Nel primo semestre del 2015 è aumentato, rispetto al medesimo periodo del 2014, il numero di nuovi rapporti di lavoro a tempo indeterminato nel settore privato (+252.177), rimangono sostanzialmente stabili i contratti a termine, mentre si riducono le assunzioni in apprendistato (-11.500). Nel primo semestre del 2015, inoltre, la variazione netta tra i nuovi rapporti di lavoro e le cessazioni, pari rispettivamente a 2.815.242 e 2.177.002, è di 638.240; nello stesso periodo dell’anno precedente era invece stata di 393.658.
Sono questi, insomma, in estrema sintesi i dati forniti dall’Osservatorio del precariato dell’Inps, che ha pubblicato ieri il suo periodico report. Il Governo, a partire dal Presidente del Consiglio, ha espresso, ovviamente, soddisfazione sostenendo che siamo sulla strada giusta contro il precariato e che il Jobs Act è un’occasione da non perdere, soprattutto per gli under 40.
È bene ricordare tuttavia come, solo pochi giorni, il Prof. Giorgio Alleva, presidente dell’Istat, invitasse a una maggiore prudenza nel leggere i dati del lavoro. Il noto “gufo” sottolineava, infatti, come, a suo parere, con i numeri sul lavoro (Istat, Ministero e Inps) si sia assistito, negli ultimi mesi, a un caos poco edificante e poco serio dal punto di vista metodologico. I dati forniti dal ministero e dall’Inps sono, difatti, di fonte amministrativa e non statistici come quelli Istat. Valutare, quindi, il saldo tra attivazioni e cessazioni dei contratti come se fosse un aumento di teste, cioè di occupati, è un’approssimazione, secondo il presidente dell’Istat, non accettabile.
Lo stesso pericoloso sovversivo consigliava di fare i conti solamente alla fine dell’anno. Registrava, tuttavia, come, almeno a oggi, gli effetti del Jobs Act non apparissero straordinari. Sembra, infatti, manifestarsi soprattutto una significativa stabilizzazione dei contratti precari. Questo può essere certamente riconosciuto come un merito della riforma avviatasi alla Vigilia di Natale, ma per misurare, con maggiore obbiettività, gli effetti potrebbe essere auspicabile aspettare il prossimo.
La speranza è che la pausa estiva metta a fine a questa, possiamo dire, ansia da prestazione da parte dell’esecutivo e che si utilizzi questo tempo prezioso per la definizione, fin da settembre, di nuove, significative e credibili misure e iniziative per il rilancio dell’economia italiana e quindi, almeno lo si spera, dell’occupazione.
È da qui, infatti, che passa ogni seria valutazione degli effetti del Jobs Act e non da qualche tweet su numeri, per loro stessa natura, spesso in contraddizione tra di loro e che vengono, talvolta, resi pubblici a distanza di solo pochi giorni inficiando, se mai siano in grado di provocarlo, ogni effetto fiducia sui cittadini lavoratori.