Flessibilità con penalizzazioni, prestito ponte e part-time per i lavoratori anziani. Sono le tre proposte di Tiziano Treu, ex ministro del Lavoro, ex commissario straordinario dell’Inps e attualmente componente del Cnel, per risolvere il nodo della riforma delle pensioni. Lo scorso giugno il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, aveva sottolineato: “Affronteremo il tema in legge di stabilità. Dobbiamo trovare un equilibrio tra la maggiore flessibilità e le compatibilità di finanza pubblica. Non vogliamo scaricare altri pesi sulle future generazioni. Non possiamo costruire altro debito”. E lo stesso ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, una settimana fa ha confermato che nella legge di stabilità ci sarebbero misure che vanno nella direzione di una maggiore flessibilità pensionistica. A tirare il freno a mano però è stato il viceministro dell’Economia, Enrico Morando, secondo cui sono ipotizzabili solo misure “a costo zero” come il cosiddetto “prestito ponte”.



Con la legge di stabilità andrà sciolto il nodo flessibilità. Che cosa deve fare il governo?

È da tempo che si dice che occorre correggere l’eccessiva rigidità del sistema pensionistico, e che le soglie fisse sono contrarie alla logica del contributivo e a quella flessibilità di cui hanno bisogno non solo i lavoratori ma anche le imprese. In molti si sono pronunciati, anche il governo si è espresso, da ultimo se ne sono occupati anche i ministri del Lavoro. Quindi adesso l’unico problema è fare bene i conti.

Nel momento in cui Renzi ha promesso di abolire la Tasi sulla prima casa, è possibile intervenire anche sulle pensioni?

Non c’è dubbio che andranno fatte delle scelte su quante risorse destinare ai giovani, ai pensionati e al taglio delle tasse sulla casa. Io sono stato molto critico sulla sentenza della Corte costituzionale relativa al blocco delle indicizzazioni delle pensioni, perché ha “dirottato” risorse su persone che tutto sommato hanno una posizione più sicura rispetto a quella di numerosi giovani.

Quindi è meglio rinunciare alla flessibilità?

Non dico questo, dipende dalla soluzione che si decide di attuare. Ci sono interventi che costerebbero fino a dieci miliardi. Se si volesse introdurre un’età pensionabile con una fascia ampia tra i 62 e i 70 anni, e si applicassero delle riduzioni moderate agli assegni pensionistici, per esempio del 2% l’anno, i costi sarebbero appunto intorno agli 8/10 miliardi. Ben diverso sarebbe il caso se si usasse la flessibilità, ma le “penalizzazioni” fossero più consistenti.

Di quanto dovrebbero essere?

In altri Paesi si applica una riduzione del 4/5% annuo, con costi minori per il Fisco e maggiori per i lavoratori che scelgono di ritirarsi prima, i quali perdono anche il 15-20% della pensione. Con l’Opzione donna siamo già in quest’ordine di idee, con una penalizzazione del 4% annuo.

 

Quali sarebbero invece le soluzioni meno costose?

Tra le soluzioni meno costose c’è il cosiddetto “prestito ponte”, già preso in considerazione prima dal ministro Enrico Giovannini e dopo di lui da Giuliano Poletti. È un intervento che richiederebbe risorse relativamente limitate, perché si tratta soltanto di un’anticipazione di valuta. Può costare un po’ di più allo Stato se la restituzione è molto scaglionata nel tempo, magari con qualche piccolo contributo.

 

Sarebbe vantaggioso per gli anziani che si ritirano prima dal lavoro?

Sì, può essere utile per molte persone perché si anticipa una parte della pensione. Se un anziano non ha più le energie per rimanere al lavoro, o se il lavoro purtroppo viene meno, in questo modo una persona ha di che vivere, e quando poi è arrivata all’età pensionabile le si fa il conguaglio.

 

Esistono anche altre possibili soluzioni?

Indubbiamente. A suo tempo ho anche concepito e proposto una “soluzione a metà”, sul modello di quanto avviene in altri Paesi. Si potrebbe fare lavorare gli anziani part-time, in modo da aprire la strada per i giovani. Poiché chi fa il part-time perderebbe una parte di retribuzione, la si potrebbe completare con mezza pensione come avviene già in Francia. È una flessibilità “a metà”, che può essere positiva anche sul piano personale perché uno non passa improvvisamente dal lavoro a tempo pieno alla pensione, ma esce progressivamente dal mondo del lavoro.

 

(Pietro Vernizzi)