Sono nato in un piccolo paese della provincia di Biella, dove in estate di solito ritorno per un breve periodo di vacanza. Ogni anno quando succede mi sento prendere dallo sconforto. Quand’ero bambino e adolescente il lavoro ferveva in uno dei principali distretti tessili italiani: oltre ad aziende medio grandi, miriadi di piccole fabbriche di lavorazione dei tessuti erano attive e conferivano al paese un’energia che sembrava non doversi esaurire.
Oggi un generale clima di ripresa non dovrebbe mancare: per il secondo anno consecutivo le esportazioni del distretto tessile di Biella hanno registrato un incremento (+4,8%), trainato dalle vendite di tessuti (+7,8%), filati (+2%) e abbigliamento (+2,7%), contribuendo alla buona performance dell’economia regionale nel 2014.
La realtà del mio paese natio, però, offre uno spettacolo un po’ differente. Negli ultimi 20 anni, le aziende hanno ceduto terreni e proprietà per lasciare spazio a centri commerciali e supermercati di vario genere, certamente sovradimensionati in rapporto a una popolazione di circa 8 mila abitanti; ce ne sono almeno cinque, alcuni anche di estensione significativa, nel raggio di pochi chilometri.
Quando giro per le strade, mi sento come in una città fantasma: ovunque è facile leggere “vendesi” o “affittasi” su locali e vani di ampiezza variabile, sfruttati per l’apertura di attività più o meno improvvisate che domani lasceranno il posto a nuove attività, altrettanto improvvisate e di dubbia utilità: vi è persino una lavanderia automatica, in un paesino a vocazione tessile, dove la popolazione più anziana può vantare ottimi livelli di operatività domestica ed è sicuramente dotata di una certa abilità nel trattare i capi di abbigliamento, oltre che essere in possesso di moderni elettrodomestici, che da tempo hanno sostituito le tinozze per il bucato. Si tratta nel complesso di attività che vanno e vengono, un po’ come gli umori della società in cui viviamo, senza creare un vero valore aggiunto.
Si dirà che il mio paese è troppo piccolo per non rappresentare un caso isolato, ma quante realtà simili ci sono in Italia? Per queste ragioni, non sono propenso a facili entusiasmi nel vedere i dati diffusi dall’Osservatorio sul Precariato Inps che nei primi 6 mesi del 2015 evidenziano un incremento del 36% delle assunzioni a tempo indeterminato nel settore privato rispetto al primo semestre 2014.
Sarò forse un “gufo”, ma mi trovo più in sintonia con l’Istat, chiarito naturalmente che si tratta di metodologie di rilevazione assai differenti e non comparabili una con l’altra. A giugno 2015, gli occupati diminuiscono dello 0,1% rispetto al mese precedente e dello 0,2% (-40 mila) rispetto a giugno 2014. Il tasso di disoccupazione è ancora cresciuto ed è arrivato al 12,7%; tra i giovani è in costante aumento, ormai al 44,2%.
Per questo, secondo me, una politica accorta e lungimirante dovrebbe partire e ripartire dal lavoro prima ancora che non dall’Imu/Tasi e dal sistema pensionistico, più volte – forse troppe – rivisto negli ultimi anni. È essenziale non solo per ragioni economiche, ma anche per creare un clima sociale positivo, stabile, che è quello che respiravo io da ragazzo e che un po’ – lo dico sinceramente adesso che vivo in una grossa città da tanti anni – mi manca.
Si potrebbe avviare finalmente quella “cura shock”, invocata da più parti, per la quale basterebbe innanzitutto semplificare sul serio – e non solo sulla carta – la burocrazia, pensare a un fisco un po’ meno invadente e incentivare l’imprenditoria, ad esempio evitando di trattare le Partite Iva con evasione presunta.
Tuttavia, viene il sospetto che nessun incentivo economico sia di per sé sufficiente a far decollare situazioni caratterizzate da uno stallo diventato, per così dire, strutturale e cronico. E allora che cosa manca? Non saprei di preciso, ma continuando a passeggiare per vie e viottole del paese la gente, giovane o attempata, mi sembra sempre più stanca. Forse manca l’idea, la forza creativa per costruire qualcosa, a prescindere dai risultati che si possono ottenere; manca quella progettualità, che in fondo caratterizza l’uomo dalle fondamenta e che è naturalmente molto più difficile da stimolare.