Dopo le buone notizie dalla crescita del consumo, arrivano quelle della produzione industriale che a luglio cresce dell’1,1% rispetto a giugno – quando era calata – e soprattutto del 2,7% sullo stesso periodo dello scorso anno. I dati congiunturali rilevati dall’Istat mostrano tutti i principali settori produttivi in miglioramento, a cominciare dal settore dell’auto (cresciuto del 44,9% rispetto al 2014). Ne abbiamo parlato con il Segretario Generale della Cisl, Annamaria Furlan. L’occasione è stata anche quella di fare il punto della situazione circa l’attività del Governo Renzi in materia di economia e lavoro e, anche, di immigrazione.



La produzione industriale cresce, e con essa il Pil – anche se lentamente – e i consumi. Possiamo davvero parlare di ripresa?

Dopo tanti anni di dati negativi finalmente qualche segnale positivo si vede sia sul fronte della produzione industriale che del Pil e dei consumi. Ma tutto questo non basta. Abbiamo ancora 3 milioni di disoccupati nel nostro Paese. E visto che abbiamo perso 25 punti di produzione industriale, con il trend attuale ci vorranno 20 anni per recuperare i dati pre-crisi. Bisogna fare molto di più per favorire gli investimenti e soprattutto occorre abbassare la pressione fiscale sui lavoratori, i pensionati e le imprese che assumono e investono in innovazione e ricerca, energia pulita, infrastrutture materiali e immateriali. Le parti sociali possono svolgere un ruolo importante per far crescere la produttività del nostro sistema molto più bassa rispetto alla media europea. Lo si può fare con un modello che spinga la contrattazione di secondo livello aziendale e territoriale per distribuire la produttività anche nelle busta paga, lì dove si determina, cioè nei posti di lavoro.



Cosa resta da fare per la crescita?

Non si può dire che la crisi sia finita. La Legge di stabilità può essere l’occasione giusta per rendere strutturale la ripresa. Il Governo fa bene a pensare di abolire la Tasi sulla prima casa e l’Imu sui cosiddetti imbullonati e sui terreni agricoli. Ma bisogna anche ridurre subito l’Irpef per i lavoratori e i pensionati. È troppo lontano nel 2018 l’intervento ipotizzato sull’Irpef. Oggi il 15% delle imprese esporta e vive di domanda globale. Per rafforzare i consumi e salvare molte aziende bisogna agire sulla domanda interna e liberare più risorse a favore delle famiglie. Questo si può fare solo riducendo la pressione fiscale.



In che misura vede possibile la riforma fiscale annunciata da Renzi e come la valuta nel suo complesso?

È ancora presto per dirlo. Il quadro è ancora molto nebuloso. Vedremo nelle prossime settimane quale sarà il piano del Governo. Ci aspettiamo anche una svolta nella lotta all’evasione fiscale e contributiva, soprattutto dell’Iva, che continua a essere un problema esteso e drammatico per il Paese. Va trovata una soluzione. Noi abbiamo proposto una formula molto semplice: il contrasto d’interesse che ha funzionato molto bene nell’edilizia e sulle costruzioni esattamente come fanno in America. Permettere insomma di scaricare una parte delle fatture per beni e servizi in modo da far emergere il reale fatturato e il volume d’affari. È poi insopportabile il livello della tassazione locale: in questi anni di crisi le imposte locali sono cresciute di oltre il 200%. La spending review deve servire a questo: ridurre le tasse locali, eliminare gli sprechi, tagliando e riformando le società municipalizzate che non danno i servizi di qualità ai cittadini.

In merito alla nuova manovra finanziaria, vi batterete per una patrimoniale?

Se vogliamo ridurre le tasse e avere più risorse disponibili, anche un contributo progressivo sulla ricchezza patrimoniale oltre i 500mila euro è da prendere in considerazione, escludendo la prima casa o i titoli di stato. Non dimentichiamo che in Italia il 10% più ricco della popolazione possiede il 46,6% della ricchezza nazionale. Un dato che si commenta da sé. Per questo noi abbiamo presentato la scorsa settimana alla Camera una legge di iniziativa popolare insieme a 500mila firme di cittadini per cambiare il sistema fiscale nel segno dell’equità.

 

Come si articola questa proposta di legge?

La nostra legge di iniziativa popolare è una riforma strutturale del sistema fiscale incentrata sulla riduzione delle tasse di 1000 euro all’anno non solo per i lavoratori dipendenti, ma anche per i pensionati, per i lavoratori autonomi, per i giovani collaboratori. Dopo anni di crisi c’è bisogno di risposte certe e immediate. Se non riparte un vigoroso ciclo di crescita aumenteranno le lacerazioni sociali, l’area della povertà, l’instabilità politica ed economica. Per questo abbiamo proposto in primo luogo l’abolizione di tutte le tasse sulla prima casa, ma bloccando anche l’aumento delle addizionali regionali e comunali in modo da collegare la tassazione locale a servizi di qualità per i cittadini.

 

E poi?

Vogliamo anche che sia introdotto un nuovo strumento di sostegno alle famiglie che superi e accorpi gli attuali assegni familiari e le detrazioni, attraverso un assegno commisurato al reddito e ai carichi familiari. La nostra è anche una delle poche proposte in campo che indica le coperture economiche e dove andare a prendere le risorse finanziarie per abbassare le tasse e risollevare i consumi, senza intaccare i titoli di stato e i risparmi delle famiglie.

 

Jobs Act completo: si registra come nelle previsione un’importante stabilizzazione dei rapporti di lavoro. Come giudica in prospettiva questo trend?

La crescita dei contratti a tempo indeterminato è sicuramente un fatto positivo su cui la Cisl si è spesa molto in questi mesi nel confronto con il Governo per far uscire migliaia di giovani dalla fascia del precariato. È chiaro che per il momento non si tratta di occupazione aggiuntiva, ma di una stabilizzazione di accordi precari in contratti stabili con tutele precise e garanzie economiche chiare. Immagini che cosa vuol dire per una coppia che prima non poteva sottoscrivere un mutuo e invece oggi ha la possibilità di acquistare casa. Ma è chiaro che tutto questo non basta. Non è con le regole che si crea il lavoro. Occorre agire molto di più sui fattori della crescita, sugli investimenti produttivi e sulle politiche attive del lavoro per dare una prospettiva anche a chi perde il posto di lavoro.

 

Jobs Act non è solo contratto a tutele crescenti ma è appunto anche sistema di politiche attive che va a regime. È la fine della precarizzazione del lavoro?

Nell’impianto del Jobs Act si è trovato il giusto equilibrio tra la necessaria flessibilità del mercato del lavoro e i nuovi ammortizzatori sociali, estendendo la cassa integrazione anche alla piccole imprese e il sussidio di disoccupazione a tutti i lavoratori. Tuttavia, mancano le risorse per le politiche attive del lavoro e una prospettiva immediata per chi perde il posto di lavoro. Questo è per la Cisl un punto dirimente sul quale siamo da tempo impegnati. Bisognerà avere anche un maggiore coordinamento tra la nuova agenzia nazionale che coordina e indirizza e le Regioni che continuano ad avere un ruolo importante nella ricollocazione produttiva dei lavoratori.

 

Il Governo pare deciso in merito a una legge sulla rappresentanza…

Noi siamo stati sempre contrari a un intervento per legge su una materia come la rappresentanza che è di esclusiva competenza delle parti sociali. Non ne vediamo francamente la necessità. Abbiamo fatto un accordo puntuale e completo tra le organizzazioni sindacali e le associazioni imprenditoriali che ora va applicato fino in fondo, per dare certezza e stabilità alle relazioni industriali e capacità propulsiva alla contrattazione.

 

Il Governo è invece meno deciso circa il salario minimo. Secondo lei cosa farà?

Anche questa è una materia molto delicata che andrebbe lasciata alle parti sociali. La politica farebbe bene a occuparsi dei problemi del Paese, a cominciare da una modifica della legge Fornero, la peggiore legge pensionistica d’Europa e affrontando con interventi concreti e straordinari la situazione deprimente in cui versano le regioni del Mezzogiorno d’Italia.

 

La ripartenza di Mirafiori è l’immagine della definitiva rinascita della più importante azienda italiana e dell’intero settore dell’automotive. Secondo lei c’è spazio in Italia per un altro costruttore di auto che possa rafforzare la nostra industria?

Intanto è importante e significativo che la Fca abbia investito nel nostro Paese, garantendo un futuro produttivo a tutti gli stabilimenti a partire da Mirafiori. Non era affatto scontato e questo si deve anche al contributo determinante e al ruolo responsabile di quei sindacati, come la Fim-Cisl, che hanno creduto nel cambiamento e nell’innovazione. Quanto agli altri costruttori di auto, noi non abbiamo mai avuto preclusioni agli investimenti, ovviamente se questi servono a creare occupazione e a rafforzare il sistema industriale italiano e il suo indotto, come nel caso di Fca.

 

La Cisl ha aderito alla “Marcia degli Scalzi” che in questi giorni ha stretto numerose persone in tutta Italia attorno al dramma dei migranti. Come vede la nostra azione, italiana ed europea, circa un problema che in tali dimensioni è nuovo?

Noi abbiamo aderito con convinzione alla marcia delle donne e uomini scalzi perché forte è il bisogno di dare risposte solidali all’esodo di massa che sta interessando tutta l’Europa. L’Europa non può voltare lo sguardo dall’altra parte perché l’emergenza profughi ci riguarda da vicino e chiama in causa un sistema di riconoscimento dell’asilo che va rivisto e condiviso in tutta Europa. Il Governo italiano ha avuto una condotta responsabile, riconoscendo che il regolamento di Dublino va superato e questo ci fa ben sperare per una revisione del sistema di accoglienza rispettosa dei diritti umani dei profughi mediante il coinvolgimento di tutti i paesi del mediterraneo.

 

(Giuseppe Sabella)

 

In collaborazione con www.think-in.it

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