«Il principale fautore della flessibilità pensionistica, Cesare Damiano, è proprio colui che quando era ministro del Lavoro approvò il protocollo che porta il suo nome. Una norma che ha fatto dei danni tremendi al sistema previdenziale, per porre rimedio ai quali è stato necessario approvare la legge Fornero contro cui ora Damiano si batte». Lo evidenzia Francesco Giubileo, ricercatore presso il Centro studi TopLegal e autore del libro “Una possibilità per tutti. Proposte per un nuovo welfare”. È da almeno un anno che la nostra classe politica discute di flessibilità pensionistica, e in molti si aspettano che possa trovare spazio nella legge di stabilità 2016. Anche se per il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, “non è all’ordine del giorno”.



Ritiene che sia venuto il momento per attuare la flessibilità pensionistica? Se si intende attuare la riforma della tassazione sulla prima casa, è poi difficile fare una legge che introduca una maggiore flessibilità pensionistica. Io non credo assolutamente che ci siano le condizioni per fare entrambe le cose. Ci potranno essere interventi che riguardano 50-100mila persone che devono prima andare in pensione, ma vedo difficile attuare una riforma strutturale. A meno che Renzi abbia una carta che non ha ancora scoperto per trovare la copertura necessaria.



Eppure lo stesso Renzi aveva detto che una riforma delle pensioni è possibile, purché non sia molto costosa… In realtà la flessibilità costa tantissimo, lo documentano gli 11 miliardi e 600 milioni di euro spesi per risolvere il problema degli esodati. Anche perché nel realizzare le salvaguardie si è scoperto che solo una piccola parte di quelle persone erano effettivamente esodati, mentre molti altri erano in una situazione di transizione verso la pensione. Se Renzi pensa di fare una riforma flessibile, si può capire che tantissime persone che stanno aspettando di andare in pensione coglierebbero immediatamente questa opportunità. Il problema è se questa manovra sia sostenibile.



E se si facesse a costo zero? La flessibilità non è mai a costo zero. Se si decidono di portare delle persone in pensione prima, lo Stato deve comunque avere una copertura economica per fare fronte a nuovi pensionati. Questa cifra si riavrà nel tempo, ma nel frattempo occorre anticiparla.

Ritiene possibili misure mirate per le donne che per alcuni anni non hanno pagato i contributi in quanto si sono occupate della cura della famiglia? In primo luogo bisogna vedere se l’Ue ritiene che ciò sia possibile da realizzare. In linea teorica potrebbe essere una buona idea considerare i periodi di maternità come anni di contributi. Bisogna vedere anche in questo caso se ci sono le coperture.

Damiano ha ipotizzato la cosiddetta “Quota 41” per i lavoratori precoci. Lei che cosa ne pensa?

È una questione che riguarda quella generazione che effettivamente è andata al lavoro molto prima rispetto a quella attuale. Persone che hanno iniziato a lavorare a 14 o 15 anni, e che oggi hanno una quota molto rilevante di contributi versati. A questo livello però c’è un problema sostanziale. Dobbiamo chiederci se, mandando prima in pensione i lavoratori precoci, poi il sistema sarà in grado di mantenerli per 30-40 anni.

 

Quindi qual è la soluzione?

La soluzione potrebbe essere quella di mandarli in pensione alla stessa età degli altri lavoratori, ma garantendo loro un premio maggiore. Anticipare la pensione per queste quote di persone sarebbe invece insostenibile. C’è infatti un’intera generazione che appartiene al baby boom degli anni ’70, e che se andasse in pensione contemporaneamente comprometterebbe la tenuta del sistema previdenziale.

 

Per Cesare Damiano però è impensabile che una persona abbia una vita lavorativa di oltre 50 anni…

Il paradosso è che è stato proprio il “Protocollo Damiano” del 2007, approvato quando lo stesso Cesare Damiano era ministro del Lavoro, ad avere provocato danni tremendi al sistema previdenziale. E se si è dovuti ricorrere alla legge Fornero è stato proprio per porre rimedio a questi danni.

 

(Pietro Vernizzi)