Osservare i dati Istat può essere un esercizio noioso alle volte, ma può riservare risultati sorprendenti: le statistiche sulle forze di lavoro a fine 2014 ci dicono che il numero di lavoratori occupati in Lombardia ha raggiunto il livello pre-crisi del 2007 e che nel contempo sono raddoppiati i lavoratori in cerca di occupazione, facendo così innalzare il tasso di attività (occupati + disoccupati sul totale popolazione 15-64), che è passato dal 69,1% del 2007 al 70,7% del 2014. Dopo queste notizie confortanti, si può anche ipotizzare che i numeri di questo 2015 in crescita potranno dare ulteriori segnali positivi, dato che nello stesso tempo avviene la felice combinazione dell’accelerazione della ripresa economica in atto e delle politiche riformiste in ambito giuslavoristico. Sì, proprio il Jobs Act con le sue politiche attive che sta diventando sempre più accompagnato da incentivanti misure di carattere economico. Tornando al periodo 2007-2014, è interessante riflettere sul duplice dato citato in precedenza, relativi alla sostanziale invarianza quantitativa del dato occupazionale, benchè con significative modifiche qualitative al suo interno. Tutto a vantaggio sembrerebbe ormai degli over 50, delle donne e della popolazione immigrata, assieme all’aumento del numero di disoccupati a discapito degli inattivi, cioè di persone che hanno deciso di cercare un lavoro, pensando dunque di poterlo trovare. Tutto ciò a nostro avviso è stato possibile perché la Regione Lombardia ha puntato in questi anni con decisione proprio sulle politiche attive del lavoro, dando vita al più avanzato sistema europeo di supporto alle persone in cerca di occupazione. Solo limitando lo sguardo agli ultimi 2 anni, grazie al programma Dote unica lavoro sono state prese in carico dagli operatori dei servizi al lavoro 70.479 persone e ne sono state riavviate 49.680, con un tasso di avviamento al lavoro pari al 77,71%.
Le scelte vincenti messe in campo sono poche, ma molto forti. Innanzitutto l’aver puntato decisamente sull’attività di ricollocazione, anziché sulla formazione, come avviene ancora oggi in molte regioni, per la gioia dei formatori più che dei disoccupati. Vi è poi un secondo motivo, ovvero il coinvolgimento decisivo delle agenzie per il lavoro private, attraverso un audace quanto innovativo modello complementare, in cui la priorità dell’intervento pubblico è stata data alla centralità del servizio alla persona. In ultima analisi qui in Lombardia sta alla libertà del disoccupato di scegliere l’operatore cui rivolgersi, attraverso un sistema di voucher individuali, di entità diversa a seconda della intensità di aiuto necessario in base al grado di svantaggio. Infine l’orientamento al risultato, per cui l’operatore prescelto intasca il voucher in misura prevalente soltanto dopo aver reinserito al lavoro il disoccupato.
Tutto questo dimostra come investire con intelligenza sulle politiche attive paga, sempre e comunque: i risultati occupazionali arrivano, perfino in tempo di crisi. E le persone si attivano, perché hanno a disposizione strumenti e riferimenti concreti per farsi aiutare. Ora, con il Jobs Act, il governo ha preso una forte iniziativa per esportare questa buona pratica nel resto d’Italia. Sicuramente ci vorrà del tempo per arrivare ovunque a questi risultati, ma se, attraverso le convenzioni che il Ministero del lavoro dovrà stipulare nei prossimi mesi con ogni singola Regione, si avrà lo stesso coraggio di coinvolgere le agenzie per il lavoro private che ha avuto la Lombardia, il sistema Paese ne trarrà un gran vantaggio.