«Il rischio nel nostro Paese è che se si apre una porta, questa si trasformi in un portone. Siccome i nostri politici non sono abituati a ragionare in termini obiettivi, mi chiedo se valga la pena riaprire un capitolo che era stato chiuso». Marcello Esposito, professore di International Financial Markets all’Università Cattaneo di Castellanza, commenta così la posizione di quanti chiedono di introdurre la flessibilità pensionistica nella legge di stabilità. Ieri sulla questione sono intervenuti anche i sindacati, con la Cgil che ha chiamato alla mobilitazione unitaria Cisl e Uil.
Professore, lei è favorevole alla flessibilità in uscita?
La flessibilità in uscita è una cosa sacrosanta, a condizione però che all’Inps sia lasciata la libertà di calcolarla in modo equilibrato dal punto di vista attuariale. Il rischio è che dando la stura alla possibilità del prepensionamento si ritorni a una situazione come quella di qualche anno fa. Sull’Inps si rischiano di scaricare degli oneri impropri. Se si consente di andare in pensione anticipata, ma non con una grande penalizzazione, qualcuno i soldi li dovrà mettere.
Quali rischi intravvede in una nuova riforma delle pensioni?
Rischiamo di creare una grandissima confusione rispetto alla chiarezza della riforma Fornero. Siccome i costi della correttezza attuariale sono molto elevati, il dubbio che viene è che alla fine anche questa si trasformi in una manovra in deficit che pagheremo a caro prezzo in futuro. In questo modo si scaricherà sulle generazioni future il costo di questa nuova misura previdenziale.
Alla luce di questa considerazione è meglio lasciare tutto com’è?
La riforma Fornero è stata approvata nel 2011 e, da un punto di vista di sostenibilità, il nostro sistema pensionistico attualmente è il migliore al mondo. Non riesco dunque a capire per quale motivo si debba rimettervi mano. Se si decide di spendere, ricominciamo a fare la politica degli anni ’70-’80 le cui conseguenze paghiamo ancora oggi. Questo non vale solo per le pensioni, anche se in quest’ultimo caso c’è un’aggravante.
A che cosa si riferisce?
Grazie alla riforma Dini prima e alla riforma Fornero poi siamo riusciti ad arrivare a un sistema stabile. Se continuiamo a cambiare le cose, non dobbiamo poi meravigliarci che l’Italia cresca poco. Se manca stabilità nella normativa fiscale e previdenziale, la gente non sa mai che cosa succederà l’anno prossimo. La stessa tassa sulla casa è stata modificata con cadenza annuale. Alla fine il cittadino non riesce a capire quanto dovrà pagare, e la conseguenza è solo maggiore incertezza, che in quanto tale fa male all’economia. Se una persona non sa che cosa succederà in futuro, risparmia di più e consuma di meno.
E se ci limitasse a intervenire su categorie specifiche, come le donne che per alcuni anni si sono dedicate alla cura della famiglia?
Il problema è sempre la sostenibilità del sistema. Occorre esaminare caso per caso, e andare a vedere esattamente le categorie che hanno bisogno. Per esempio, a chi ha iniziato a lavorare a 15 o 16 anni, che sia uomo o donna, va da sé che andrebbe concesso un percorso specifico.
Quindi lei è favorevole a interventi mirati?
Andare a ritoccare la legge può andare bene, ma dobbiamo farlo con lo spirito di prendere in considerazione delle categorie particolari. Se apriamo al prepensionamento creiamo una situazione che poi è difficile da gestire.
Quali sarebbero le conseguenze?
Nel nostro Paese se si apre una porta, questa si trasforma in un portone. Siccome i nostri politici non sono abituati a ragionare in termini obiettivi, e a capire che quanto facciamo oggi influenzerà il futuro, mi chiedo se valga la pena riaprire un capitolo che era stato chiuso. Anche perché se l’Europa e i mercati finanziari ci stanno dando credibilità, è grazie al fatto che nel 2011 abbiamo fatto la riforma delle pensioni.
(Pietro Vernizzi)