Le vicende di queste ultime ore, per quanto in un certo senso clamorose, non sorprendono chi da tempo segue i lavori e le interlocuzioni delle parti sociali in materia di rinnovo dell’accordo interconfederale, che – come abbiamo più volte scritto – ha dal 2009 regolato il sistema contrattuale e ha permesso di rinnovare i contratti collettivi senza particolari drammi sociali salvo il settore dei metalmeccanici in cui – va dire il vero – il dramma è stato visto solo da qualche cronista avventato se non di parte.



I macro problemi sul tavolo sono tre, ma da tempo non trovano soluzioni condivise a livello confederale, quello – ovvero – della sintesi. C’è innanzitutto il problema legato alla retribuzione: la precedente soluzione individuata, quella di legarla alle dinamiche inflattive, in tempo di deflazione ha rivelato i suoi limiti: sarebbero i lavoratori ora a dover restituire soldi alle imprese! C’è un secondo problema legato al baricentro della contrattazione: a parole tutti sembrano favorevoli a più contrattazione aziendale. C’è un ultimo problema di fondo che consiste nel portare a regime il testo unico sulla rappresentanza: in questo caso pare sempre più difficile che le parti trovino soluzioni definitive e sembra sempre più probabile l’intervento del legislatore.



La novità è che, nella giornata di ieri, in Confindustria erano attese le delegazioni di Cgil, Cisl e Uil per un incontro circa l’accordo generale, ma si è presentata solo la Cisl. La cosa non sorprende del tutto, perché – come abbiamo scritto su queste pagine prima della pausa estiva – in occasione della storica Segreteria unitaria del mese di luglio (la prima dopo 4 anni) Susanna Camusso esprimeva la sua contrarietà all’accordo generale, affermando che la Cgil vuole il rinnovo dei contratti, non dell’accordo. 

Il Segretario Generale della Cgil è consapevole che qualsiasi accordo generale le darà forti problemi in casa sua, specie con la Fiom di Landini. La Uil sa bene che questa situazione rischia di paralizzare il sistema dei rinnovi contrattuali. La Cisl nella giornata di ieri ha cercato tuttavia di fare una proposta. Confindustria, da par suo, ha sino a oggi lavorato per il rinnovo del modello, sapendo che al suo interno alcune federazioni hanno maturato intese ufficiose con le controparti sindacali, nel rispetto però del lavoro di sintesi del livello confederale. Tanto che, al momento, nessun accordo è stato firmato, ma con qualche decisa protesta dei sindacati dei lavoratori. La situazione chiaramente non può durare a lungo.



Cosa c’è in gioco? Un nuovo rapporto tra federazioni e confederazioni: è piuttosto scontato che il livello federale crescerà in autonomia. Sono infatti queste ultime a sottoscrivere i contratti: chiaro che l’esigenza di una contrattazione più vivace e la crescente tendenza dello spostamento del baricentro contrattuale a favore del livello aziendale genera un possibile scenario nuovo.

È evidente che i contratti di settore non possono seguire sempre gli stessi binari. È altrettanto evidente quanto la tendenza delle Confederazioni ad “accentrare” la contrattazione o cercare a tutti i costi l’omogeneità di comportamenti in settori diversi va in controtendenza rispetto all’obiettivo di favorire la competitività delle imprese del sistema e, in particolare, un legame tra costi e risultati, salari e produttività. Inoltre, è sempre più difficile individuare standard di relazioni industriali, stante la radicale diversità insita nei diversi settori: infatti nelle industrie metalmeccaniche, nelle banche, nella Pa, nel commercio, nei settori ad alta innovazione, nelle industrie petrolchimiche, nell’edilizia e nei media esistono grandi eterogeneità, diverse culture e diversi comportamenti.

D’altro canto, al di là di evidenti diversità nel lavoro e nell’organizzazione del lavoro, non in tutti i settori c’è lo stesso livello di partecipazione, cosa che – naturalmente – incide sul risultato. Per fare degli esempi, la partecipazione registrata nel settore della chimica ha prodotto a oggi i risultati migliori in termini di innovazione, di competitività e di flessibilità. Pensiamo, invece, alla metalmeccanica – settore ruspante in tutta Europa – ed è evidente quanto la conflittualità insita in questo settore non sia solamente problematica dal punto di vista della gestione dei rapporti, ma in relazione allo stesso risultato della negoziazione sindacale.

Le stesse scritture delle norme e dei contratti lasciano intravedere diverse filosofie e scuole di pensiero che si esprimono in storie diverse, molte delle quali risalenti a fine ‘800/primi del ‘900, tali e tanti sono i trascorsi della nostra manifattura. L’agricoltura e l’edilizia, per fare degli esempi, hanno fatto la storia della contrattazione collettiva, contribuendo ad affermare condizioni di tutela e di equità distributiva, nonché di flessibilità: circa quest’ultimo aspetto, l’edilizia e la chimica sono casi tra i più interessanti.

Il contratto – quale strumento di produzione di valore oltre che di regolazione del lavoro – va rilanciato: vanno promosse e condivise soluzioni ed esperienze innovative. Questo non significa per forza più contrattazione aziendale, ma anche: laddove questa troverà modo di crescere deve poterlo fare, ma ciò di cui si ha bisogno è che cresca una expertise, quella di chi contratta. Per il resto – in un paese il cui sistema produttivo è Pmi nella sua quasi totalità – il Ccnl non morirà mai, a dispetto di chi ne profetizza la fine.

Se questo è l’obiettivo, un accordo generale quale vantaggio può dare?

 

Twitter @sabella_thinkin

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