I bilanci dei sindacati: quanto fatturano queste imprese che, nell’immaginario collettivo, sono “finanziate” dallo Stato, cioè dai soldi dei cittadini? È un segreto, dice l’Espresso; anzi, è il segreto meglio conservato d’Italia. Renzi, però, nella sua foga anti società civile organizzata, ha dichiarato che “i sindacati hanno un sacco di soldi”. Quindi almeno lui li conosce questi benedetti bilanci. Perché o parla a vanvera o parla per cognizione di causa… Dunque tutti gli interessati, verrebbe da chiosare, non hanno che da indirizzare le loro richieste al Palazzo del Governo!



A parte gli scherzi e le battute, terreno sul quale Renzi è inarrivabile, il problema c’è, ci sta, è un argomento sul quale qualche riflessione deve farsi. Non per ragioni di trasparenza, né per qualche moralismo o qualche ansia provocata da un malsano voyeurismo contabile. Piuttosto, invece, per una semplice ragione di tipo politico: essendo i sindacati associazioni sociali ma private, devono davvero rendere conto alla pubblica opinione? Certo è importante non confondere la pubblica opinione con i media, magari quelli che comunque stanno conducendo una campagna di stampa proprio contro i sindacati, ma, come dicono quelli che fanno solo domande ai potenti che sono in caduta libera, se non c’è nulla da nascondere perché non dirci quanto guadagnate? 



I bilanci, infatti, sono la fotografia di queste, come di altre, organizzazioni, e se è vero che una parte di questi bilanci sono già oggi fotografati dagli organi dello Stato, nondimeno il problema per i sindacati c’è. Ma non il problema della trasparenza, o quello di supposti, e per quanto a oggi si sa, molto difficilmente esistenti, fondi neri o chissà di quali misteriose ragioni. No, la motivazione profonda che dovrebbe guidare il ragionamento di Cgil Cisl e Uil e degli altri sindacati, magari anche quello dei giornalisti, è il loro rapporto con lo Stato, cioè il loro essere stati costruiti in modo simbiotico rispetto alle carenze presenti, ed evidenti, nelle strutture pubbliche: tutto quanto lo Stato non sa fare (ed è molto), lo affidò anche ai sindacati, a partire dai milioni di 730 e delle dichiarazioni fiscali che annualmente fanno i Caf, sindacali e non, o non fa nessun altro.



Il problema dunque è quello della qualità dei rapporti tra Stato e organi intermedi: l’incapacità del sistema pubblico si è trasformata costantemente in occasione per rapporti, scambi, baratti, affidamenti che con l’andar del tempo hanno disegnato un sistema che è solo una pallida controfigura di quella struttura sussidiaria che fu pensata, o immaginata, o sognata, da tanti padri costituenti.

Non quale bilancio, quindi, non quanti soldi i sindacati “succhierebbero” allo Stato, quanta ombra vi sia nei conti di quelle perfide ramificazioni, ma la domanda corretta sarebbe piuttosto come i sindacati devono evolvere e verso quale struttura debbano andare, quale organizzazione si devono dare, quale futuro si devono immaginare. Un sindacato che non infastidisce, che magari non protesta, nemmeno quando i lavoratori, come è stato il caso del Colosseo, non sono pagati da due anni? O un sindacato che sa pensare al bene comune, che contempera diritti individuali e interessi generali? Ma se al sindacato si chiede di essere parte del tutto e di farsi carico del bene comune, perché poi lo si considera alla stregua di malfattori di cui devono essere dimostrate, a ogni costo, la perfidia e le malefatte?

I sindacati, torniamo alla domanda iniziale, devono perciò rendere pubblici i loro bilanci? Sì, ma insieme devono diventare sempre più associazioni davvero autonome, pienamente sussidiarie rispetto allo Stato e proprio per questo sempre meno dipendenti da esso, dalle sue decisioni, dalle sue incapacità, dai suoi limiti. I sindacati devono pertanto crescere e sviluppare nuovi servizi, che stiano davvero sul mercato libero e non finanziato, che riguardino il mercato del lavoro. Devono darsi un sistema di certificazione degli iscritti, una norma condivisa sulla rappresentanza, regole più cogenti in materia di rapporti con la politica e di certificazioni esterne dei bilanci.

A quel punto, anche per associazioni private e libere, alle quali i cittadini aderiscono liberamente e non per forza, che forniscono assistenza e aiuti quotidianamente ai cittadini e alle loro famiglie, non sarà un problema decidere di rendere pubblici i propri conti. Perché sarà davvero per fare trasparenza e non per dare ulteriore benzina alle macchine del fango che, dopo aver distrutto i partiti, hanno rivolto la loro non disinteressata attenzione ai sindacati. 

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