Speriamo che questa volta i dati siano quelli giusti. Secondo l’Istat, infatti, il tasso di disoccupazione nel nostro paese a luglio è pari al 12%, in calo di 0,5 punti percentuali sul mese precedente e di 0,9 punti nei dodici mesi. Il ribasso arriva, inoltre, dopo due aumenti e porta il tasso ai minimi da due anni esatti (era stato al 12% nel luglio 2013).



Si riscontrano così dati positivi anche sul versante della crescita economica; il dato sul Pil del secondo trimestre passa da +0,2% ad un poco più confortante +0,3%.

Oltre, tuttavia, a sapere quanti italiani lavorano è altrettanto conoscere quanto questi guadagnano. Ci aiuta, in questo, offrendo peraltro una prospettiva comparata a livello europeo, il rapporto annuale di Eurofound, pubblicato solo pochi giorni fa, sugli sviluppi retributivi in sede di contrattazione collettiva.



Sono tuttavia solamente quattordici i paesi europei in possesso di risorse informative che permettono la stima a livello nazionale delle variazioni delle retribuzioni basate su accordi collettivi. È, quindi, certamente auspicabile che tale platea si ampli già nei prossimi anni.

Dalla ricerca emerge, così, che le retribuzioni nominali a livello di contratti collettivi sono state, nel 2014 rispetto al 2013, uguali od inferiori in quasi tutti i paesi esaminati. Allo stesso tempo, tuttavia, i ricercatori sottolineano come un tasso d’inflazione più basso nello stesso periodo abbia comportato aumenti dei salari reali, confermando il ritorno della crescita in termini reali già a inizio 2013.



Andando più nel dettaglio in ben degli otto dei 14 paesi osservati nello studio, nel 2014 gli aumenti nominali sono stati inferiori al 2013. Quattro paesi hanno visto, altresì, aumenti simili in entrambi gli anni. Germania e Regno Unito sono stati gli unici paesi che hanno registrato un incremento notevolmente superiore nel 2014 rispetto al 2013, con aumenti salariali cresciuti rispettivamente di 0,4 e di 0,5 punti percentuali.

Complessivamente, in molti paesi, gli aumenti nominali delle retribuzioni, fin dal 2010, tendono ad essere inferiori rispetto al periodo precedente. Per il periodo tra il 2012 e il 2014, nello specifico, gli aumenti salariali concordati in sede di contrattazione collettiva tendono a diminuire in ben 10 dei 14 paesi analizzati.

Allo stesso tempo l’analisi delle retribuzioni in termini reali ci dice che in ben 12 paesi sui 24 oggetto del rapporto si sono registrati aumenti nel 2014. La Finlandia è, infatti, l’unico paese in cui gli stipendi definiti in sede di contrattazione collettiva non riescono a tenere il passo con la crescita del costo della vita.

Se, come ci dice autorevolmente l’Istat, il peggio è passato e sia l’occupazione che il Pil ripartono è forse il caso di iniziare a calendarizzare una fase 2 del #jobsact, quella delle retribuzioni.

Se, infatti, gli stipendi, anche in Italia, hanno tenuto in questi anni, principalmente, grazie ad un basso tasso d’inflazione, è arrivato il tempo per rimettere in circolo risorse e rimpolpare, almeno un po’, i portafogli dei lavoratori italiani dopo tanti anni di crisi.