Con l’approvazione del Consiglio dei ministri, si può ritenere concluso e definito il processo di riforma del mercato del lavoro, mentre l’analisi degli effetti positivi sull’occupazione resta tutta aperta e da verificare nel prossimo futuro.

Andando al cuore delle principali novità contenute nei decreti, si accoglie positivamente la scelta del Governo di non fare marcia indietro sull’impianto di alcuni istituti che in sede di discussione in Commissione lavoro avevano avuto forti resistenze, come nel caso dei controlli a distanza. Viene infatti confermato l’intervento riformatore sull’attuale disciplina, estendendola anche ai nuovi strumenti di lavoro mobili (tablet, telefonini) concessi in dotazione al dipendente, purché nel rispetto delle norme sulla privacy. Pertanto il datore di lavoro non avrà necessità di un accordo sindacale per sottoporre a controllo gli strumenti assegnati ai dipendenti, come computer e telefonino aziendale, ma dovrà comunque rispettare le norme sulla privacy e fornire un’adeguata informazione ai lavoratori. Si colma quindi un vuoto normativo che prevedeva nell’ormai vecchio testo dell’art. 4 dello Statuto dei lavoratori, quali strumenti di controllo, le sole apparecchiature fisse. Per queste ultime, diversamente dagli strumenti mobili, è richiesta l’autorizzazione del sindacato oltre alla preventiva informazione dei lavoratori.



Viene inoltre previsto un ulteriore strumento di verifica della genuinità delle dimissioni. Il lavoratore dovrà scaricare un apposito modulo dal web attraverso il sito del ministero del lavoro, recante data certa, sul quale dichiarare la volontà di rassegnare le dimissioni. In questo modo, auspica il governo, di arginare il fenomeno delle cd. dimissioni in bianco. Tale intervento non riteniamo comunque che possa rappresentare uno strumento di grande efficacia data la marginalità dell’istituto.



E’ stata inoltre confermata la realizzazione di un Ispettorato Unico che vada ad accorpare le attività ispettive di Inps, Inail e ispettorato del Lavoro, con l’obiettivo, per l’esecutivo, di semplificare le imprese. Tale intento è lodevole purché non comporti una moltiplicazione dei costi ma sia legato ad una razionalizzazione delle risorse e ad uno snellimento della burocrazia, altrimenti rischia di essere l’ennenesimo “carrozzone” burocratico a spese solo dei contribuenti.

Per quanto riguarda infine la riforma degli ammortizzatori sociali, viene estesa la cassa integrazione anche ai lavoratori prima senza copertura, cioè coloro che prestano la propria attività in aziende da 5 a 15 dipendenti, che il governo stima essere circa 1,4 milioni. La cassa durerà sino a 24 mesi in un quinquennio mobile, periodo che potrà aumentare fino a 36 qualora le aziende utilizzino lo strumento della solidarietà a tutela dei livelli dei livelli occupazionali. Sulle aliquote di contribuzione alla Cassa applicabili alle imprese, sarà utilizzato un meccanismo di bonus malus, prevedendo maggiori oneri per chi utilizza maggiormente la cassa; anche la Naspi (Nuova prestazione di Assicurazione Sociale per l’Impiego) avrà una durata di 24 mesi, uniformandosi con la durata della cassa integrazione. 



L’operatività della norma dovrà comunque essere vagliata alla luce delle risorse finanziarie che il governo vorrà disporre che, se non adeguate, rischierà di non avere sufficiente copertura.

Queste le principali novità offerte dai decreti appena approvati, nell’ambito di un impianto riformatore a tutto campo, su cui sarà necessario soffermarsi in futuro per meglio valutare se gli strumenti messi a disposizione del mercato del lavoro rappresentano i presupposti per la crescita del Paese tutelando sia gli interessi di chi, come il lavoratore, ambisce ad una maggiore stabilità, e sia l’impresa, la quale deve poter operare entro limiti di rischio certi e prevedibili. Le intenzioni sono buone, la volontà di cambiare direzione sembra aver mosso i primi passi sulla via della ripresa.

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