Come non iniziare da un riscontro importante? Finalmente si riconosce che flessibilità in uscita e ingresso dei giovani nel mondo del lavoro, con riduzione della disoccupazione, possono essere due fattori oggetto di interrelazione e interconnessione. Andiamo poi a considerare quello che è successo a partire dai ripetuti “warning” che lanciammo a Elsa Fornero prima del varo della riforma e che ci spinse subito dopo a formulare la prima proposta di “riformare la riforma” per il problema degli esodati costato oltre 12 miliardi di euro. Sicuramente Boeri sa, tanto per fare un esempio, che al 31/12/2015 le espulsioni dal solo sistema bancario oltre confine hanno coinvolto 100mila addetti. Del pari ausculta gli scricchiolii di parte del sistema bancario nazionale che hanno mosso il governo Renzi a profilarne una riforma per le banche popolari e per le Bcc. E del pari ha notato gli effetti di una disattenta gestione di efficace tutela di Sistema Paese in ambito Ue prima che ci fossero dovute, ma purtroppo tardive, prese di posizione.
Se il problema degli esodati negli anni scorsi ha rappresentato una criticità forte e urgente, deve essere considerato, sempre per questo settore preso ad esempio, che il trend individuato dall’Abi, e non solo, sull’evoluzione imposta dallo scenario complessivo, potrebbe riaprire questo fronte. Si arriva così al terzo fattore preesistente originariamente, eppur proiettabile in futuro, che può essere interrelato e connesso ai due fattori già citati.
Siamo quindi ai tre fattori base che sono stati evidenziati come risolvibili nella proposta lanciata nel 2013 e nuovamente illustrata su queste pagine. Non solo si è chiesto, in più di un intervento, di mettere in simulazione la proposta avanzata (anche il risparmio di un euro la renderebbe praticabile e adottabile) rispetto alle altre presentate. Si è chiesto pure di valutarne l’impatto macroeconomico a livello di compatibilità di quadro Ue e rispetto alle altre presenti sui tavoli dedicati. Conoscere i numeri e il loro impatto deve sempre essere un atto preliminare necessario e adeguato prima di compiere una scelta politica che anche Matteo Renzi definì “non raffazzonata” per gestirne poi le conseguenze possibili.
Dalle ultime dichiarazioni in ambito di dicasteri, come quella del sottosegretario di Padoan, il tema della “scelta” si ripropone per il primo semestre del 2016. Non è quindi inutile riprendere gli elementi caratterizzanti di “riformare la riforma” premettendo che non si vuole eliminare la legge Fornero, ma modificarla per dotarla di un respiro adeguato alla quella lunga percorrenza che permetta di mantenere e consolidare l’equilibrio necessario alla permanenza e all’evoluzione del welfare.
1) Flessibilità in uscita/pensione anticipata sono medesima cosa. I lavoratori e/o datori di lavoro versano i contributi necessari.
2) La “vexata quaestio” del completo ricalcolo contributivo a valere sul (e contro il) retributivo puro (che andrà progressivamente a scomparire come base applicativa) e misto, è stata montata, nella sua generalizzazione, come operazione di equità senza onestà intellettuale. Infatti, chi nega che il retributivo abbia avuto logica e fondamento in un periodo demografico ed economico del Paese, e lo spacci come risultato di un errore storico che produce oggi, a condizioni mutate, ingiustizia, sbaglia. Sbaglia perché per correggere delle storture vuole fare una talebana tabula rasa. Oppure fa come quei dentisti che trovano una perdita di tempo curare un dente non completamente sano e quindi lo estraggono “tout court” e “tout de suite” senza possibilità di appello. Vanno quindi corrette per peso e dimensione storture, invece di abbattere un sistema.
3) Contribuzione volontaria generale parallela a quella obbligatoria. I contributi versati dai singoli lavoratori in capo alla flessibilità in uscita hanno equivalenza giuridica e funzionale rispetto a quelli versati dalle imprese in caso di legge 223 e/o di esodi da ristrutturazioni, conversioni, ecc. Questo aspetto dà spazio alla contrattazione di secondo livello di gruppo e azienda e apre un’integrazione al possibile nuovo capitolo di relazioni industriali tra imprese e sindacati.
4) Flessibilità in uscita/pensione anticipata contempla che i lavoratori sappiano, in base all’età prevista come minima o a quella scelta superata la prima citata, qual è il monte contributi totali che devono avere in capo e provvedere in primis con integrazione o meno da parte del datore di lavoro, al loro versamento.
5) Il prestito previdenziale (già suggerito a suo tempo come integrazione dall’ex Ministro del Lavoro Giovannini) Inps o Inail o altro permette di raggiungere il versamento contributivo richiesto.
6) Il monte contributi (calcolato, questo sì, con il contributivo) è quello dato dai contributi versati alla data dell’anticipo e quelli da versare fino alla data fissata per la pensione di vecchiaia. L’algoritmo di calcolo d’equilibrio è materia degli enti competenti. La modalità è quella del riscatto degli anni mancanti da imputare per il versamento dei contributi predetti.
7) Il quadro che emerge è quello di un riallineamento finalizzato del risparmio che non penalizza la domanda interna e favorisce la sostenibilità del welfare, riservando al Governo e al Parlamento tanto la scelta della cosiddetta soglia minima per l’anticipo, quanto quella di strumenti alternativi di intervento per l’assistenza e la protezione sociale, a partire da quello fiscale e senza dimenticare la leva nei confronti delle imprese, in modo pro attivo per il ricambio generazionale.