«Intervenire con una riforma delle pensioni che non scontenti le persone e non metta a repentaglio i conti pubblici è praticamente impossibile. E la stessa idea che anticipando le pensioni si creino posti di lavoro per i giovani è tutta da dimostrare». A constatarlo è Francesco Giubileo, ricercatore presso il Centro studi TopLegal e autore del libro “Una possibilità per tutti. Proposte per un nuovo welfare”. Il ministro del lavoro e della Previdenza sociale, Giuliano Poletti, a fine ottobre aveva preso un impegno preciso a nome di tutto il governo: “Nell’arco del 2016 saremo in grado di fare una proposta sulla flessibilità in uscita dal lavoro”. Resta però ancora da risolvere il nodo coperture. Altre questioni aperte sono quelle dei lavoratori precoci, quelle persone cioè che hanno iniziato a lavorare a 15 o 16 anni, e degli esodati non ancora salvaguardati.
Giubileo, che cosa propone per quanto riguarda i lavoratori precoci?
Mi rendo conto che queste categorie di persone hanno lavorato per tutta la vita, e quindi capisco la loro richiesta di andare prima in pensione. A livello di fiscalità generale, il problema però è se il sistema sia in grado di reggere nel lungo periodo un ingresso anticipato di queste persone nel sistema previdenziale. Personalmente sono scettico sul fatto che ciò sia possibile, e il motivo non è che non voglio che le persone vadano in pensione.
Qual è il problema secondo lei?
La questione è se a lungo andare questo sistema permetterà di mantenere i conti in regola. Già il nostro bilancio è messo molto male, se poi aggiungiamo nuove uscite anticipate il rischio di sostenibilità del sistema previdenziale nel lungo periodo si farà sentire. Non a caso il presidente Inps, Tito Boeri, ha detto che le generazioni future andranno in pensione a 70-75 anni. Ciò è strutturalmente legato al fatto che le generazioni precedenti sono andate in pensione molto prima rispetto a quando dovessero. La legge Fornero ha risposto a questo problema con la rigidità.
E se la flessibilità fosse ugualmente una risposta?
Il modello del governo Monti, basato su rigidità e risparmio, è stato massacrato dalla Consulta perché era palesemente incostituzionale. Boeri ha proposto dunque una trasformazione tra previdenza a ripartizione e previdenza a capitalizzazione. Anche in questo caso però ci sono grossi rischi di incostituzionalità, per non parlare delle difficoltà tecniche di operare questi calcoli. In molti casi non si ha a disposizione la storia contributiva completa di quanti si trovano già in pensione.
Secondo lei quindi che cosa si dovrebbe fare?
È un tema molto complesso, ma prima o poi bisognerà metterci mano. Si può ridurre l’assegno a quei fortunati che erano andati in pensione con il sistema a ripartizione e oggi incassano una cifra sostanziosa. In questo modo è possibile aprire una piccola finestra per qualche persona cui mancano uno o due anni di contributi ed è rimasta senza lavoro. Si tratta in ogni caso di una misura molto impopolare. Da un lato si accontentano quanti devono andare in pensione, ma dall’altra si scontenta chi ci è già andato.
Mandare prima in pensione gli anziani aumenterebbe quantomeno l’occupazione giovanile?
Non esiste nessuna certezza del fatto che, mandando in pensione una persona, l’azienda assuma un giovane. I sindacati lo affermano con certezza ma lo devono dimostrare. Soprattutto nella pubblica amministrazione, con i nuovi sistemi digitali molta della manodopera esistente non serve più. Oggi è possibile avere un unico server, un unico sportello per i vari ambiti dalla sanità al lavoro, dall’istruzione alla pubblica amministrazione generale.
Quali sono le conseguenze sul piano dell’occupazione?
Ciò si traduce in una minore necessità di dipendenti, e quindi i pensionamenti anticipati non producono un effetto di sostituzione. È soprattutto una speranza da parte di alcuni, convinti che mandando in pensione milioni di persone si possano creare milioni di posti di lavoro. Io però non credo che questo avverrà. Questo turn over generazionale ha senso solo per gli ambiti apicali della nostra società. In questi casi sostituire persone ultra-sessantenni con trentenni e quarantenni permetterebbe un’apertura mentale verso le nuove tecnologie.
(Pietro Vernizzi)