Tra gli elementi costitutivi dell’esperienza sindacale vi sono una serie di attitudini fondate su taluni aspetti di natura antropologica: l’osservazione dei fattori della realtà, i rapporti tra le persone, le dinamiche sociali, un’attenta disanima delle vicende che la quotidianità ci presenta, la capacità di andare oltre le apparenze e molteplici altre dimensioni. Tra le tante altre sicuramente vi è da annoverare l’allenamento all’ascolto, al dialogo, all’attenuazione della “vis polemica” che spesso contraddistingue chi ha ruoli pubblici, alla pazienza dello stare sul pezzo (virtù imparata dai contadini delle mie terre), che significa fare i conti con il realismo delle cose, compreso il fatto che, come è noto, occorre realizzare il possibile e non inseguire sogni e desideri reconditi.
Ecco perché, a qualche giorno di distanza, con una maggiore serenità di giudizio, mi permetto di riprendere le questioni innescate con la proposta di revisione e innovazione del sistema di Relazioni Industriali, approvata dalla Cgil, dalla Cisl e dalla Uil attraverso i loro organismi riuniti congiuntamente la scorsa settimana. Documento di cui, modestamente, ne sono co-autore, in ragione del complesso (e forse immeritato) mandato affidatomi da Annamaria Furlan, a nome dell’insieme della segreteria nazionale della Cisl.
Ogni proposta, figlia di un lungo dibattito e di una sintesi, tiene conto di differenti valutazioni e opzioni strategiche (alcune delle quali risalenti al secolo scorso), contiene sempre alcuni limiti, che definirei oggettivi e correlati alla natura delle mediazioni tra visioni diverse: quante leggi, provvedimenti, decisioni, finanche sentenze giudiziarie, sono l’esito di dialoghi e negoziati che, in qualche modo, rappresentano la composizione in un equilibrio che premia tutti!
Non è forse vero che qualsiasi transazione tra diversi soggetti, da quelle semplici di natura commerciale a quelle più complesse di natura politica (senza scomodare la diplomazia e i rapporti internazionali), è fondata su un compromesso tra posizioni in partenza distanti e divergenti? Troppo facile riunire il proprio circolo politico, intellettuale o salottiero e decidere, quando tutti la pensano allo stesso modo o magari delegando al capo la decisione stessa!
Ecco perché la proposta merita di essere maggiormente considerata nei suoi contenuti essenziali, prima ancora che alla lettera delle singole valutazioni e argomentazioni specifiche e dei particolari descritti, che, come tali sono opinabili, da discutere e con limiti anche culturali (in quanto scaturenti da diverse opzioni, come detto).
Cgil, Cisl e Uil tornano unite nella costruzione di un’unica e articolata revisione dei modelli contrattuali, dopo aver conseguito un accordo sulla rappresentanza e sulla rappresentatività con le intese del 2014, a cui successivamente tutte le altre organizzazioni sindacali, di minore entità associativa, hanno poi aderito. Ricordo che nei testi del 2014 si è innescata una procedura di certificazione e trasparenza sulle iscrizioni reali ed effettive ai sindacati, sul numero degli eletti nelle rappresentanza aziendali, sulla chiarezza circa le decisioni negoziali e sull’efficacia degli accordi collettivi, in particolare a livello aziendale. Certificazione e trasparenza che non è ancora un dato che riguarda le associazioni dei datori di lavoro.
Con la proposta varata lo scorso 14 gennaio si completa il processo, delineando altresì la disponibilità, in particolare della Cisl, ad accogliere un intervento legislativo che applicando il dettato costituzionale dell’art. 39, chiude la querelle pluridecennale sull’efficacia dei contratti collettivi nazionali a valere per tutti i lavoratori dei diversi settori, superando l’incertezza giuridica che spesso viene imputata al nostro Paese quando si tratta di convincere gli investitori stranieri a venire a casa nostra (la famosa questione della certezza del diritto…).
I padri fondatori della Cisl ci guarderanno certamente con circospezione circa questa nostra disponibilità, che segnala un’inversione di posizione storica, come certamente sanno addetti ai lavori e giuslavoristi della prima e “ultima” ora! Ma i padri fondatori sapranno certamente rivolgere uno sguardo al complesso delle cose, affinché possano essere posti nella condizione di valutare compiutamente il passo realizzato e quindi non fermarsi all’apparenza, con sentenze di condanna irreversibile all’attuale dirigenza pro tempore della Cisl stessa.
Infatti, per la prima volta tutte le organizzazioni affrontano i nodi reali dei sistemi contrattuali, non dimenticando nulla e fornendo chiavi di interpretazione e di proposta utili ai variegati e diversi mondi del lavoro e dei tanti lavori che sono presenti in Italia. E per rilanciare la discussione riprendo alcune delle domande/questioni che segnalano la bontà delle risposte presenti nella nostra proposta di innovazione della contrattazione in Italia, in una fase in cui il sistema politico appare distante e, forse, in parte antagonista del ruolo delle parti sociali.
Se la situazione economica presenta un non facile contesto circa i fattori di crescita, in particolare del lavoro e dell’occupazione, con una deflazione e diminuzione dei prezzi (materie prime comprese) che non ci abbandonerà a breve, come si potranno conciliare i rinnovi dei contratti nazionali di lavoro? Sarebbe come affermare che i contratti si fanno solo se c’è l’inflazione, altrimenti il sindacato e le associazioni dei datori di lavoro dovrebbero “sparire dalla faccia della terra”.
Ecco perché ci permettiamo di segnalare la necessità che, per “salvare” la contrattazione occorre trovare altre soluzioni circa i parametri economici per l’incremento delle retribuzioni, che vadano oltre il tasso di inflazione oggi inesistente e i contratti rinnovati recentemente hanno indicato strade positive, che possono essere assunte anche da parte di altri settori.
Come si concilia il fatto che, pur nell’innegabile necessità di favorire la contrattazione aziendale e di prossimità, a cui contribuiscono i provvedimenti della legge di stabilità sulla defiscalizzazione e sul sostegno al welfare contrattuale per persone e famiglie, con il fatto che la stessa non può dispiegarsi in misura consistente in rapporto alle piccole dimensioni delle imprese, che aumentano di numero e presenza per gli effetti del decentramento organizzativo e produttivo: ma quale contrattazione aziendale può dispiegarsi negli esercizi commerciali di uno/due addetti, nelle piccolissime imprese artigiane, nelle tante e disarticolate Silicon Valley italiane, molte delle quali descritte in modo paradisiaco dai media, ma con addetti il cui stipendio mensile supera di poco i mille euro e senza grandi tutele sociali?
Noi pensiamo che, tra i variegati mondi lavorativi, si possano immaginare soluzioni contrattuali diverse, con un contratto nazionale con poche regole e con il livello decentrato che possa essere aziendale (se le dimensioni delle imprese lo consentono), territoriale in presenza di settori frammentati (edilizia, agricoltura, commercio, ecc.), non inventando nulla di nuovo rispetto alla storia reale e fattuale, di filiera o distretto (i calzaturieri del Brenta esistono, non sono sulla carta, ad esempio).
E certamente la nostra proposta tende a evitare l’intromissione della politica con il varo del salario minimo di legge, che, pur presente in molti paesi europei, può rappresentare una nuova forma di arretramento nelle retribuzioni del nostro Paese, uniformando situazioni differenti al ribasso: ma a chi sembra realistico pagare tutti (se va bene) 6 euro all’ora?! Dico 6 solo come esempio provocatorio, perché comunque si scatenerebbero le diverse lobbyes ad affermare che qualsiasi cifra sarebbe sempre troppo alta!
E riuscire a parlare tutti di partecipazione dei lavoratori nelle imprese rappresenta il superamento di steccati ideologici anche da parte della Cgil, a cui dobbiamo dare atto di aver compiuto una revisione storica di non poco conto; partecipazione nell’organizzazione del lavoro che già in parte avviene, occorre solo riconoscerla in quanto senza l’apporto delle persone e del capitale umano che le stesse rappresentano non si va da nessuna parte. Le persone sono il vero capitale sociale delle imprese, è una verità e non solo uno slogan dei consulenti nei convegni!
Da ultimo occorre che anche i media e i commentatori si rendano conto che i contratti non sono solo quello industriale e manifatturiero che va per la maggiore, che le associazioni datoriali non si chiamano tutte Federmeccanica (senza disconoscere legittimità e peso associativo che la stessa rappresenta), che da vicende come la Fiat occorre trarne le conseguenze: abbiamo già detto che i mondi sono tanti, dal complesso dei vari settori e comparti industriali al terziario e alla filiera agroalimentare, dall’edilizia, alla distribuzione e alla Pubblica amministrazione, dal credito al mondo della somministrazione, dai servizi di mobilità fino al variegato mondo degli autonomi di cui tra qualche settimana la Cisl lancerà una proposta associativa specifica.
Non abbiamo bisogno di soluzioni univoche ma flessibili, accanto al riconoscimento delle differenze, che sono un valore e il sale di un reale pluralismo che sostiene la democrazia del Paese, oltre che un innegabile dato costitutivo della realtà.
Ci rivolgiamo a tutte le associazioni datoriali, compresa Confindustria e non siamo ingenui, sappiamo che la stessa a breve rinnoverà i propri vertici, con un percorso non facile e che presenta alcuni elementi di incertezza. Ma come insegnano coloro che se ne intendono il terreno va preparato, coltivato, arieggiato e in alcune stagioni lasciato a riposo, poi seminato, innaffiato,…: le cose non avvengono a caso come potrebbe apparire dai media e dalle televisioni.
Fare un contratto non è uno scherzo di una notte, figuriamoci una revisione complessiva che si rivolge a tanti mondi: è una fase quella che si apre, non una stagione mordi e fuggi.