A Matteo Renzi sarebbe bastata l’applicazione delle stesse regole del lavoro privato al pubblico impiego e caricare maggiore responsabilità in capo ai dirigenti per i casi di mancato o ritardato intervento in caso di trasgressioni disciplinari dei dipendenti, per fare sul serio nel contrasto delle truffe e dell’assenteismo illegittimo nel pubblico impiego. 



Insomma, sarebbe bastato inserire queste due piccole e semplici regole in un qualsiasi decreto legge dei tantissimi approvati in questi quasi due anni di governo per risolvere questo annoso problema che appassiona tanto le cronache italiche, e che fa infuriare i contribuenti ormai smarriti e attoniti di fronte a tasse in aumento e servizi di qualità e intensità inferiori.



E invece no. Il Governo non fa quello che sarebbe più semplice fare pur di risolvere  finalmente il problema. È successo, invece, che ancora una volta il Premier ha usato il tema dei cosiddetti fannulloni come demagogica arma di distrazione di massa. Trova per l’ennesima volta utile annunciare bandi e lanciare proclami modello slogan: «A casa i fannulloni, subito licenziati in 48 ore, fuori i ladri e i furbetti del cartellino». Chi può sostenere il contrario? Chi può opporsi? Anzi, sarebbe utile rilanciare: «Perché non licenziarli in 24 ore? Perché non condannarli alla pubblica gogna?». E il gioco a chi la spara più grossa potrebbe continuare nel Paese degli smemorati e dei creduloni. 



La verità è che dietro le sue chiassate, Renzi nasconde altro. Nasconde la volontà del governo di far calare il silenzio su scandali come quelli del mondo bancario. Nasconde l’incapacità di dare davvero ossigeno a un’economia misera e ancora tutta dentro gabbie e rendite di posizione. Nasconde l’improvvisazione di una politica europea fatta solo attraverso spot. E allora meglio puntare il dito sui dipendenti pubblici infedeli e metterli all’indice. Ma se davvero si volesse o si fosse voluto intervenire su questo deleterio fenomeno, lo si poteva fare già da tempo. Perché attendere?

Tutti gli addetti ai lavori concordano su due regole semplici ed efficaci. La prima prevede l’estensione anche ai dipendenti pubblici delle norme previste per il settore privato, comprese naturalmente le norme sui procedimenti disciplinari e sui codici di disciplina. La seconda riguarda la dirigenza pubblica. Ebbene, oggi come oggi per quieto vivere, per omertà, per ignavia, per la volontà di scansare responsabilità e rogne, i dirigenti pubblici si guardano bene dall’avviare procedimenti disciplinari nei confronti dei dipendenti furbi e infedeli. Tanto più trincerandosi dietro l’alibi secondo il quale in caso di errore possono essere chiamati a rispondere per danno erariale. 

Ma se così stanno le cose, basta stanarli: si imponga l’obbligo di agire, pena il loro licenziamento. E si elimini il rischio di finire davanti alla Corte dei conti nell’ipotesi di un provvedimento disciplinare revocato da un giudice. Il Governo allora cambi davvero comportamento e faccia, magari in silenzio, cose concrete e perciò utili.  Punisca i dipendenti pubblici trasgressori, ma rispetti  tutti gli altri, offrendo loro un nuovo contesto di impegno che li riconosca professionalmente. Finalmente offra un progetto di riorganizzazione istituzionale delle Regioni, Comuni, attraverso una loro riconfigurazione  dimensionale  che produca risparmio ed efficienza. Si decida al confronto con i sindacati dei lavoratori per responsabilizzarli. Non si riforma seriamente alcunché senza un rapporto di collaborazione tra i soggetti in campo. 

I miracoli lasciamoli fare ai Santi.  A quelli che tali non sono, non si può che raccomandare umiltà, l’impegno silente e la cooperazione; ingredienti base per ogni reale soluzione dei malanni persistenti della comunità nazionale.