Il giro di vite per gli assenteisti della Pubblica amministrazione c’è, ma il cambiamento di rotta del Governo nel risolvere alcuni problemi non manca di lasciarne aperti altri. Come avrebbe dovuto essere chiaro da subito, non era immaginabile che entro 48 ore il dipendente “furbetto del cartellino” potesse essere licenziato in tronco: infatti, entro il breve termine previsto dal decreto legislativo approvato dal Governo mercoledì scorso, è obbligatorio approvare una sospensione cautelare dal servizio, alla quale dovrà necessariamente seguire l’attivazione del procedimento disciplinare.
Il principio di difesa e contraddittorio, previsto dalla Costituzione, non poteva certo essere violato. È nella fase dell’emanazione della sospensione cautelare che il soggetto competente (il dirigente della struttura ove lavora il dipendente colto in fallo, o l’ufficio dei procedimenti disciplinari se conosca della violazione per primo) che il contraddittorio verrà sacrificato alla “esemplarità” e urgenza della sanzione. Ma, successivamente, in sede di procedimento disciplinare, il dipendente dovrà essere messo nelle condizioni di esporre le proprie difese.
Qui si riscontrano alcuni problemi operativi, che si confida siano risolti nei successivi passaggi che porteranno all’approvazione definitiva del decreto legislativo. La riforma prevede di ridurre il termine del procedimento disciplinare riferito alla falsa attestazione della presenza in servizio a soli 30 giorni, contro i 120 necessari per qualsiasi altra infrazione disciplinare che possa portare al licenziamento. Non si precisa, però, quali siano i termini di “garanzia” per la convocazione in audizione e l’esposizione delle difese. Probabilmente, il legislatore parte dal presupposto che il tutto dovrà scaturire dalla flagranza della violazione o dalla sua incontrovertibile prova derivante da immagini o registrazioni, sicché il tempo per decidere il licenziamento può essere drasticamente ridotto. Tuttavia, l’assenza di termini per la difesa e, comunque, la carenza di una strutturazione procedimentale potrebbero costituire problemi operativi e giuridici non di poco conto.
In ogni caso, la “stretta” amplia, doverosamente, la fattispecie non solo alla timbratura “farlocca”, che nasconde un’assenza, ma anche qualsiasi attestazione falsa della presenza: dunque, rischiano il licenziamento anche coloro che timbrino la presenza e si siano recati davvero in ufficio, ma poi si assentino per attendere a faccende proprie.
Alla sanzione del licenziamento, si potranno accompagnare anche l’eventuale condanna penale e per danno erariale all’immagine, che la Corte dei conti determinerà in misura crescente in modo direttamente proporzionale al clamore che l’eventuale caso possa avere nei media. Comunque, la condanna minima sarà di sei mesi di retribuzione.
Per evitare che nasca un sistema di copertura e solidarietà tra dipendenti assenteisti, la riforma colpisce non solo l’assenteista, ma chiunque collabori con lui (il dipendente che timbra al posto di altri) e chi non informi dei fatti.
Se non saranno adottati i provvedimenti di sospensione cautelare immediata e avviati i procedimenti disciplinari, poi, rischiano i dirigenti e gli uffici per i procedimenti disciplinari: infatti, risponderanno disciplinarmente e saranno sanzionati col licenziamento. Il decreto, in una bulimia normativa, specifica che la mancata attivazione delle obbligatorie azione disciplinare e sospensione cautelare dal servizio costituisce omissione d’atti d’ufficio; non ce n’era bisogno, ma a scanso di equivoci questa ridondanza può comunque chiarire dubbi.
In termini generali, le misure pensate dal Governo contribuiscono a rendere molto più difficile frodare la Pa, fingendo di essere presenti in servizio mentre si resta a casa o si va a fare sport. Tuttavia restano due nodi. Il primo concerne i sistemi di rilevazione. In assenza di telecamere, non è semplicissimo per i vertici degli uffici controllare pedissequamente i movimenti dei dipendenti: non appare del tutto proponibile porre gli uffici dirigenziali ai tornelli per vedere chi entra e chi esce. Il secondo, riguarda la responsabilità erariale. Il testo finale non ha presentato l’esenzione per i dirigenti che abbiano disposto il licenziamento, nel caso in cui il dipendente venga reintegrato in servizio, ove il giudice del lavoro accerti l’illegittimità dell’interruzione del rapporto di lavoro.
È vero che la Cassazione nel novembre scorso ha accertato ciò che è evidente a tutti (ma non al Governo) e, cioè, che le modifiche dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori sono operative anche per il lavoro pubblico. Ma, altrettanto vero è che il Governo pare seriamente intenzionato, con i decreti previsti per la prossima estate, a sancire che per i dipendenti pubblici il reintegro resterà.
La circostanza che i dirigenti resteranno presi tra l’incudine dell’obbligo di sospendere e licenziare in fretta e furia e il martello dell’eventuale danno erariale derivante dalla reintegrazione decisa dai giudici del lavoro certo non facilita e fluidifica il processo di riforma, che per questa ragione appare, nonostante tutto, in parte monca.
(Franco Sala)