«Il governo Renzi aveva promesso che avrebbe affrontato il tema della flessibilità pensionistica nel corso del 2015, ma così non è stato. Chiediamo quindi che il confronto inizi il prima possibile». A rivendicarlo è Vera Lamonica, segretario federale della Cgil con delega a welfare, previdenza e politiche dell’immigrazione. Intervenendo nel corso di una tavola rotonda a Trieste, lo stesso ex ministro del Lavoro, Elsa Fornero, ha affermato che oggi ci sono le condizioni per inserire la flessibilità nel sistema pensionistico. Una flessibilità che la stessa Fornero avrebbe desiderato poter realizzare, anche se nel 2011 e nel 2012 non c’erano le condizioni per farlo. Lo scorso 17 dicembre Cgil, Cisl e Uil avevano organizzato un’iniziativa a favore della flessibilità in uscita, ma per ora dal governo non sono arrivate risposte.
Quali sono le vostre richieste dopo l’iniziativa del 17 dicembre scorso?
Noi continuiamo a chiedere che si apra un confronto che allo stato non c’è.
Che cosa farete per convincere il governo ad aprire un confronto?
Noi abbiamo una piattaforma unitaria, stiamo costruendo un percorso che se non avrà sbocchi di confronto porterà a forme di mobilitazione.
Da tempo il governo parla di flessibilità. Perché non si passa ai fatti?
Il governo aveva promesso che avrebbe affrontato il tema nel corso del 2015, ma così non è stato. Quindi ha annunciato che il 2016 sarebbe stato l’anno in cui si risolverà il problema, e noi auspichiamo che lo sia davvero. Chiediamo quindi che il confronto inizi il prima possibile.
Siete fiduciosi sul fatto che si troverà una soluzione?
Non siamo né fiduciosi, né non fiduciosi. Siamo abituati al fatto che questo governo parla poco con le organizzazioni sindacali. È però sempre più un fatto dirompente che la flessibilità è un’esigenza dell’intero Paese. Abolire le rigidità della legge Fornero risponde non soltanto alle condizioni dei lavoratori, ma anche all’assenza di lavoro dei giovani. Proprio in quanto è uno dei grandi problemi del Paese, noi ci aspettiamo che il governo voglia occuparsene.
Che cosa si può fare in particolare per i lavoratori precoci, cioè per quanti hanno iniziato a lavorare a 15 o 16 anni?
Occorre creare un percorso di vita basato solo sugli anni di contributi, senza quindi un legame con l’età anagrafica. Dopo 41 anni di lavoro è giusto poter andare in pensione senza alcun collegamento automatico con l’attesa di vita. Quest’ultima infatti produce sempre un innalzamento del gradino, e quindi con il tempo l’uscita anticipata coinciderà con l’uscita di vecchiaia. Bisogna invece fare in modo che si metta un punto fermo.
Dopo la settima salvaguardia, si riuscirà a risolvere definitivamente la questione esodati?
Il governo è stato insensibile alla discussione su questi temi. Ha attuato la settima salvaguardia, ma non ha inteso completare il percorso. Ne sono rimasti esclusi i lavoratori della scuola, noti come “Quota 96”, ma ci sono anche l’errore sui macchinisti e la questione delle ricongiunzioni onerose.
Più si va avanti con il tempo e più spuntano dei nuovi esodati. È un pozzo senza fondo?
Non è vero, non è vero: non bisogna fare confusione. Gli esodati sono quanti erano usciti dal mercato del lavoro prima dell’applicazione della legge Fornero. I numeri dei veri esodati sono stati noti fin dall’inizio. Finora ne sono stati salvaguardati 160mila, e ne rimane fuori una piccola parte. Il problema è che adesso si definiscono come esodati anche quanti hanno perso il lavoro dopo il 2011, che magari non hanno più ammortizzatori sociali e che non potendo andare in pensione rimangono in una condizione di limbo. Per queste persone serve la flessibilità pensionistica, e non un numero infinito di salvaguardie.
Si dice sempre che bisogna ridurre la spesa pubblica. Tutte queste proposte non rischiano di aumentarla?
È curioso che si faccia riferimento alla capacità di spesa pubblica solo quando si parla dei bisogni di chi lavora, e quindi delle persone più deboli della società. Il tema non è la capacità di spesa pubblica bensì dove vada indirizzata. Finora molte scelte che sono state fatte sono andate in altre direzioni, ma quando si è voluto spendere lo si è fatto.
(Pietro Vernizzi)