Venerdì scorso, presso la Camera di Commercio di Brescia, la Cgil ha presentato pubblicamente la “Carta dei diritti universali del lavoro”. La volontà, come ha spiegato Susanna Camusso presente all’iniziativa, è quella di realizzare una proposta di legge di iniziativa popolare per “ricostruire i diritti dopo il periodo in cui sono stati smantellati”. La Cgil – ha poi informato Camusso – ha indetto una consultazione straordinaria degli iscritti che, per la prima volta nella storia del sindacato di Corso d’Italia, non riguarda un accordo o un contratto, ma “la direzione politica e strategica della confederazione per un processo di coinvolgimento democratico”. I destinatari della Carta sono i lavoratori autonomi, precari, lavoratori a tempo indeterminato e determinato e quelli legati ad altre forme di contratto.
Non poteva non seguirne il malcontento di Cisl e Uil, visto che tutto questo succede a pochi giorni dall’annuncio di un’intesa unitaria sulla contrattazione. “La scelta non è nel segno degli sforzi unitari delle confederazioni – si legge in una nota congiunta; i diritti universali del lavoro sono priorità comuni, ma le fondamenta su cui poggiare una nuova idea di unità sindacale vanno costruite unitariamente. Non è questo il caso”.
Come si diceva in un recente articolo, l’accordo unitario sulla contrattazione è un documento difensivo, non si tratta di un’intesa che aggredisce le urgenze della situazione politico-economica: i sindacati, stante la minaccia di un intervento della legge, mettono quantomeno il legislatore nella condizione di doversi confrontare con la loro proposta unitaria e di recepirne le linee guida. È la medesima dinamica degli ultimi anni, le Parti si sono ritrovate unite in modo significativo per tre volte e, sempre, con una strategia difensiva: oltre al caso a cui ci riferiamo, nel 2011, quando Sacconi fece l’articolo 8; e nel 2013, quando – dopo la sentenza della Consulta sul caso Fiat – ci fu la pre-intesa su rappresentanza e rappresentatività.
Va da sé che, se il criterio è la difesa, l’unità paventata possa presentare dei limiti; e, nel caso specifico, la “Carta dei diritti universali del lavoro” ce ne dà conferma. La “Carta” sana le divisioni interne in casa Cgil; facile pensare che l’intesa con Cisl e Uil abbia scontentato qualcuno, e non solo Landini. Viene tuttavia da chiedersi cosa può succedere ora e, quantomeno, ci sono alcuni fattori da considerare che qualche indicazione ce la danno. In primis, l’accordo unitario non crediamo farà molta strada nell’immediato, stante il semestre bianco di Squinzi che, naturalmente, lo ha già bocciato. È evidente che sarà il prossimo presidente di Confindustria a discuterlo nel merito e, eventualmente, a firmarlo.
Per quanto resti da chiarire e da meglio declinare il rapporto tra contratto collettivo nazionale del lavoro e contratto di secondo livello, val la pena di recuperare un passaggio dell’accordo generale: “Fermo restando un modello contrattuale articolato su due livelli, non sono più immaginabili schemi rigidi e immutabili nel tempo. L’esperienza di questi anni suggerisce piuttosto un sistema generale di regole basilari, sulle quali poter innestare in modo flessibile gli adeguamenti/aggiornamenti necessari, realizzando così una effettiva complementarietà fra tutti i livelli. Non esiste, infatti, un modello figlio della crisi, ma la definizione di regole figlie di una attenta lettura delle diverse necessità dell’attuale sistema di impresa e della diversa composizione professionale del lavoro. Diversità non solo settoriali, ma anche dimensionali, territoriali, di mercati di approvvigionamento e di vendita e, quindi, organizzative”.
È evidente che il livello confederale ha compreso la centralità di storie e culture dei settori, la criticità sta nel definire il rapporto tra i due livelli, e quindi tra federazioni e confederazioni. Naturalmente gli interessi in gioco sono tanti e diversi, ma chi scrive scommette che la questione troverà chiarimento nel confronto, quando sarà, con gli Industriali. Il prossimo presidente sarà un meccanico, e non c’è dubbio che la meccanica vuole più libertà per il secondo livello. Certo non si potranno costringere a prassi analoghe quei settori dove il Ccnl resta più centrale (vedi settore chimico per esempio), ma lo stesso rinnovo in ballo nel settore della metalmeccanica offre un’occasione importante.
Twitter @sabella_thinkin