Il Consiglio dei Ministri ha approvato in questi giorni il cosiddetto ddl autonomi che prossimamente inizierà il suo iter parlamentare. Si tratta di un provvedimento storico: per la prima volta il legislatore riconosce dignità a un popolo (stiamo parlando di oltre 9 milioni di lavoratori) che negli ultimi 20 anni, per via delle trasformazioni del lavoro, è sempre più cresciuto in numero e, parallelamente, in precarietà. Non tutti i lavoratori autonomi lo sono di fatto, solo una minima parte sono alte professioni (avvocati, notai, medici, ecc.) e oltre la metà di essi è stato stimato avere redditi addirittura inferiori ai 15.000 euro lordi/anno, anche se va riconosciuta la complessità del fenomeno e la difficoltà di leggerlo quantitativamente in un modo corrispondente al vero.
Completamente ignorato dal sindacato – ma sono in molti a ritenere che per cultura c’è poca affinità tra questo popolo e le forze sociali -, il fenomeno Partite Iva ha finito negli anni della crisi col rivelarsi il segmento più colpito e più debole del mercato: sempre più precario contrattualmente è sempre meno sostenuto nel momento della cessazione del rapporto. C’è in effetti un problema di rappresentanza nei luoghi di lavoro per questo tipo di lavoratore, ma è incredibile che per venti anni sindacati e governi vari che si sono succeduti abbiano ignorato il problema sul terreno delle politiche del lavoro. Ma, si sa, la coperta è sempre corta e alla fine è servita per coprire il lavoro dipendente e quello pubblico.
Venendo al provvedimento e ai suoi contenuti, come abbiamo anticipato in un recente articolo, si rafforzano innanzitutto le tutele: l’indennità di maternità si potrà ricevere pur continuando a lavorare (non scatta l’astensione obbligatoria); alla nascita del bambino si avrà diritto a un congedo parentale di sei mesi (entro i primi tre anni di vita); le spese per la formazione saranno deducibili al 100% (nel limite di 10mila euro l’anno); e in caso di malattia o infortunio il rapporto con il committente si sospende (non si estingue) per un periodo non superiore a 150 giorni.
Il fondo ad hoc previsto nella Legge di stabilità 2016 corrisponde a 10 milioni quest’anno e 50 milioni dal 2017. Questo perché l’estensione delle tutele su malattia e maternità costeranno da subito, mentre la deducibilità delle spese di formazione, ricollocamento e assicurazione contro il rischio di mancato pagamento comporteranno effetti di mancato gettito solo dal 2017.
Interessante la stretta sulle clausole abusive: si considerano illegittime quelle che attribuiscono al committente la facoltà di modificare unilateralmente le condizioni di contratto o che fissano termini di pagamento superiori a 60 giorni. Si tutelano anche le invenzioni fatte dai lavoratori autonomi: i relativi diritti di utilizzo economico spetteranno al professionista e non al committente. Confermata anche la deducibilità dei premi assicurativi corrisposti per tutelarsi in caso di insolvenza del cliente.
Come ha spiegato Maurizio Del Conte – professore di diritto del Lavoro alla Bocconi di Milano e neo presidente dell’Anpal – il provvedimento contiene anche una norma che estende le tutele alle collaborazioni coordinate e continuative considerate “genuine”: «In accordo a quanto previsto dal Jobs Act, si riconosce la genuinità delle collaborazioni organizzate dal collaboratore d’accordo con il committente, e a queste si estendono le tutele previste dal ddl sul lavoro autonomo».
Si tratta di un passo importante in avanti, al di là che qualcuno lo definisca “lo Statuto dei lavoratori autonomi” o “Il Jobs Act delle Partite Iva”. L’enfasi non è fuori luogo, anzi è pienamente giustificata.
Resta tuttavia sullo sfondo una domanda importante che riguarda il sindacato: questo è un soggetto che deve difendere interessi pre-costituiti (quelli della sua base, come pensionati, lavoro dipendente e pubblico) o è un soggetto preposto a governare processi di cambiamento?
Twitter @sabella_thinkin