Qualcosa sulle pensioni andrà fatto. Ne sono convinti Maurizio Benetti e Mauro Marè, che dalle pagine del Corriere della Sera ritengono però che la flessibilità pensionistica non riuscirà a risolvere il problema di chi resta senza lavoro in età avanzata. “Chiedere al sistema pensionistico di porre rimedio a questo problema, con forme occulte di prepensionamento o di tutela reddituale di disoccupati anziani è chiaramente sbagliato”, scrivono i due. Il problema vero è la dissociazione tra sistema pensionistico e mercato del lavoro, “che impedisce alle future generazioni di maturare una pensione adeguata”. Ecco dunque che bisognerebbe intervenire su tutte le pensioni in essere “sopra una certa soglia”, in modo da finanziare un fondo per l’equità, “che offra una pensione di base per integrare i trattamenti più bassi”.
Grazie ai pensionati le famiglie italiane sono riuscite a superare la crisi di questi anni. Lo evidenzia Gigi Bonfanti commentando i dati Istat sulle condizioni di vita dei pensionati. Numeri che per il Segretario generale della Fnp-Cisl devono spingere il Governo a prendere provvedimenti per scongiurare il rischio di povertà che resta elevato per i pensionati che vivono da soli o devono mantenere dei familiari senza lavoro. “Ci auguriamo quindi che i prossimi incontri col ministro Poletti abbiano, tra gli altri obiettivi, anche la rivalutazione delle pensioni per consentire ai nostri pensionati condizioni di vita più dignitose”, ha aggiunto Bonfanti.
Una famiglia su tre riceve grandi benefici dalla presenza di un pensionato in casa, soprattutto dal punto di vista delle entrate. Lo evidenzia la Coldiretti, che ha presentato i risultati di un sondaggio on line, da cui emerge anche che per il 93% degli italiani avere un pensionato in famiglia sia una vera e propria fortuna. Per il 37% la ragione è prettamente economica, grazie agli introiti che garantisce la pensione, mentre il 35% non dimentica l’aiuto che possono dare anche per accudire i nipoti. Solo il 7% degli italiani sembra quindi considerare i pensionati un peso o un ostacolo. Pare quindi esserci un’inversione di tendenza rispetto al passato.
Un nuovo allarme arriva per i pensionati italiani. L’Istat segnala infatti che il rischio povertà è elevato (22,3%) per quelli che vivono da soli o senza coniuge ma con i figli (17,2%). Del resto il reddito medio pensionistico è stimato in circa 1.140 euro mensili e se poi con tale reddito il pensionato deve mantenere altri famigliari, la situazione diventa ancora più critica. L’Istituto nazionale di statistica segnala anche una forte disparità di reddito tra i pensionati laureati e quelli senza titolo di studio o con licenza elementare. Nel primo caso arrivano mediamente a sfiorare i 2.500 euro lordi mensili, mentre nel secondo arrivano a 1.130 euro.
Cesare Damiano ha commentato le dichiarazioni di Enrico Morando, circa un intervento del Governo Renzi nel 2016 sulla flessibilità pensionistica. L’ex ministro ha ricordato che “attualmente, in forma strutturale, la flessibilità nel sistema previdenziale non esiste”. Dunque bisogna lavorare per introdurla. “Le condizioni ci sono: i parlamentari del Pd della Commissione Lavoro della Camera hanno già depositato una proposta di legge attualmente incardinata ed in discussione. Siamo pronti ad aprire il confronto con il Governo e a dimostrare che si può realizzare la flessibilità a costo zero”, ha ricordato Damiano.
In tema di pensioni, la Gestione Separata dell’Inps viene forse poco considerata. Lo ricorda anche Mauro Meazza su Il Sole 24 Ore (con un articolo dal titolo “Le promesse tradite del 10%”, partendo dal fatto che proprio 20 anni, nel gennaio del 1996, entrava in funzione (almeno solo formalmente) la contribuzione dei parasubordinati. Allora si era partiti con contributi del 10%, mentre oggi si è arrivati al 27% o al 31% a seconda della qualifica dell’iscritto. Tuttavia oggi con il Jobs Act i contratti di collaborazione saranno molto limitati rispetto al passato, ma ci sono un milione e duecentomila iscritta alla Gestione Separata che rischiano di trovarsi in futuro con un assegno che non arriva nemmeno a mille euro mensili.
Sulla riforma delle pensioni all’insegna della flessibilità da realizzarsi nel 2016 arrivano parole alquanto ambigue da parte di Enrico Morando, viceministro dell’Economia. Ad Affaritaliani ha dichiarato infatti: “Abbiamo detto che nel 2016 valuteremo se e come, cioè attraverso quali soluzioni, introdurre forme ulteriori, rispetto a quelle oggi previste, di flessibilità in uscita. E questo impegno verrà mantenuto dal governo”. Fin qui nessuna grossa novità, anzi forse una conferma del fatto che qualcosa si farò, dato che Morando evidenzia che l’impegno verrà mantenuto. Tuttavia l’esponente del Pd subito dopo specifica: “Sottolineo che non è un impegno a realizzare nuove forme di flessibilità in uscita, ma a verificare nel corso di quest’anno se ci sono le condizioni per introdurle e come farle”. Dunque non è chiaro quale sia l’impegno del Governo: limitarsi a valutare se si può introdurre la flessibilità? Per certi versi è la stessa cosa che ha fatto nel 2015, quando, come ha spiegato Renzi, ha deciso di non far nulla, valutando fosse meglio far così per evitare dei “pasticci”.
Morando di sicuro si attirerà non poche critiche, anche perché ha spiegato che sul tema ci sarà un confronto pubblico, “che potrebbe prevedere anche un confronto con le organizzazioni sindacali”. Dunque la richiesta di Cgil, Cisl e Uil di aprire un tavolo sul tema non sembra essere stata pienamente accolta se il confronto con i sindacati non è certo, ma potrebbe essere solamente previsto. Il viceministro ha fatto poi capire che la possibilità di introdurre la flessibilità pensionistica dipenderà anche dall’andamento dell’economia e dallo stato della finanza pubblica.