Lo scorso 28 settembre si è tenuta un’ulteriore tappa del confronto tra le Organizzazioni sindacali e il ministero del Lavoro sul tema previdenziale. Tante sono le notizie circolate in questi ultimi due mesi, soprattutto sotto il nome di “Ape” (anticipo pensionistico), che continua a ronzare più o meno fastidiosa. Il percorso individuato dalle parti sociali si sviluppa in due fasi.



Tralasciando per ora la seconda fase, che riguarda impegni futuri a proseguire il confronto, concentriamoci su alcune misure della prima, che saranno probabilmente attuate in sede di legge di stabilità. Si prevede, innanzitutto, una riduzione della pressione fiscale sulle pensioni, mediante incremento delle detrazioni di imposta riconosciute, che consentirebbe di portare l‘area di esenzione fiscale (la cosiddetta “no tax area”) a livello di quella dei lavoratori dipendenti attivi, passando quindi dagli attuali 7.750 a 8.000 euro. Sebbene il pensionato abbia generalmente spese inferiori al lavoratore, non avendo più carichi di famiglia ad esempio, questa misura può avere la sua ratio, considerato che negli anni di crisi le pensioni hanno sostenuto gli stipendi delle famiglie, soprattutto giovani, svolgendo un importante ruolo di sussidio.



Altra misura di impatto sociale è l’incremento/estensione della somma aggiuntiva (“quattordicesima mensilità”) delle pensioni di importo più esiguo, la cui soglia passerebbe così da 1,5 volte il trattamento minimo Inps a 2 volte (circa 1.000 euro mensili), a favore di 3 milioni di beneficiari, che potrebbero anche aumentare: la distribuzione per classi di importo delle pensioni vigenti all’1/01/2016, infatti, mostra che il 63,4% degli assegni ha un importo inferiore a 750 euro, per una platea  di oltre 11 milioni di persone.

Una delle misure più interessanti è l’estensione del beneficio di cumulo gratuito dei periodi contributivi previdenziali non coincidenti, maturati in gestioni pensionistiche diverse, ai fini delle pensioni di vecchiaia e anticipate. A dire il vero, credo che sul tema ci sia stata un po’ di confusione, parlando di “ricongiunzione gratuita”. Diversamente dal cumulo, infatti, la ricongiunzione prevede il trasferimento materiale di contributi previdenziali da una gestione previdenziale all’altra, dove il lavoratore percepirà il vitalizio e poiché ogni gestione ha un suo regolamento, l’operazione è di norma a titolo oneroso, a un  costo, calcolato in modo piuttosto complicato in funzione di età, sesso e importi da trasferire. In questo caso, invece, l’assegno pensionistico sarebbe calcolato pro rata con le regole di ciascuna gestione al fine di conseguire un’unica pensione “anche nelle ipotesi in cui sia stato già maturato un autonomo diritto alla pensione presso una singola gestione”: tale inciso, ossia l’assenza della maturazione dei requisiti pensionistici previsti da ogni singola gestione, unitamente alla possibilità di ottenere anche la pensione anticipata, sembrerebbero le principali differenze con il cumulo oggi esistente.



Per quanto riguarda l’Ape molto è circolato a livello di media. Si tratta di un anticipo pensionistico, su base volontaria (“Ape volontaria”) che consentirebbe ai lavoratori di età non inferiore a 63 anni di anticipare di 3 anni e 7 mesi il diritto al pensionamento di vecchiaia grazie a un “flusso finanziario ponte”, cioè un prestito concesso da un istituto di credito convenzionato con l’Inps e accompagnato da una polizza sulla vita per estinguere il debito in caso di decesso. Il prestito sarebbe di ammontare commisurato alla pensione di vecchiaia attesa al raggiungimento dei requisiti anagrafici e verrebbe restituito a rate nell’arco dei 20 anni successivi alla data di pensionamento.

Per chi ha un po’ di familiarità con il mondo del credito al consumo concesso dalle società finanziarie, noterà qualche somiglianza con tale meccanismo: si accende un prestito che poi si restituisce in un periodo di ammortamento predeterminato dal contratto dietro cessione di quote di stipendio o di pensione (la cosiddetta “cessione del quinto”). Naturalmente, in questo caso, la presenza dello Stato dovrebbe evitare l’applicazione di tassi “quasi usurai” spesso praticati dalle finanziarie, sebbene la convenzione con gli istituti di credito sia tutta da scrivere e ovviamente da trattare. La trattenuta fatta direttamente – presumo – dall’ente previdenziale e la polizza caso morte dovrebbero poi escludere la necessità di altre garanzie sul finanziamento.

È difficile stimarne la convenienza: alcune simulazioni effettuate da Progetica e diffuse dalla stampa su tre importi pensionistici-tipo lordi mensili (1.600, 2.500 e 3.000 euro) mostrerebbero perdite del 36% nel periodo di ammortamento: se così fosse, è facile non prognosticare un grande avvenire all’Ape volontaria, benché l’anticipo sia esentasse, né del resto si potrebbe pensare di tassare una somma ricevuta in prestito.

Verrebbe poi introdotto un anticipo a favore di persone in situazioni di forte disagio e di maggior bisogno, ribattezzata “Ape social”, il cui costo sarebbe interamente a carico dello Stato, anche se non è chiaro come: non vi sarebbe ragione infatti di ottenere un prestito per poi azzerarne i costi in capo al percipiente tramite agevolazioni fiscali, anziché trasferire direttamente da subito la somma a suo favore, a meno che non si voglia differire il debito in capo allo Stato, lasciando eventualmente a chi verrà dopo il problema da risolvere.

Si tratta, dunque, di misure piuttosto complesse, con ancora parecchi nodi da risolvere: non da ultimo la spesa, non quantificata nel verbale. Vedremo cosa ci riserva il futuro.