L’assegno di ricollocazione, una sorte di “dote”, un voucher, spendibile dai disoccupati per rientrare attivamente nel mercato del lavoro, è ai nastri di partenza. Verrà, infatti, avviata, una prima sperimentazione già dal primo novembre. A tal fine il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali ha emanato, nel settembre scorso, un Decreto Direttoriale che ha messo in campo ben 32 milioni di euro per il finanziamento di tale misura.
È questo, senza dubbio, il principale strumento che il Jobs Act offre per il reinserimento dei lavoratori nel mercato e rappresenta la prima affascinante sfida della nuova Anpal, la neo costituita Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro guidata dal prof. Del Conte. Questa prima fase sarà, tuttavia, una sorta di “lotteria” tra i tanti (troppi) disoccupati beneficiari di Naspi da almeno 4 mesi. L’Anpal estrarrà, infatti, fra i 10 mila e i 20 mila disoccupati (anche se un primo veloce calcolo fa immaginare un numero significativamente inferiore di soggetti coperti dalle risorse) cui spetterà questo buono con un valore oscillante, sulla base del “profiling” (una sorta di misura della distanza dal mercato del lavoro) degli stessi, fra i mille e i cinquemila euro.
A prescindere, quindi, dai limiti, per certi aspetti ovvi, di una prima fase sperimentale, sarebbe auspicabile ampliare in futuro la platea anche a lavoratori non beneficiari di Naspi. Si pensi, a titolo esemplificativo, alle giovani donne che sono uscite dal mercato per una gravidanza e che provano a rientrarvi dopo alcuni anni.
La scelta di limitare il target della misura è, tuttavia, più che comprensibile. L’obiettivo ultimo della misura, infatti, è proprio quello di ridurre, favorendo il reingresso nel mercato del lavoro, quanto lo Stato spende per la Naspi, cioè l’ammontare dei nuovi sussidi di disoccupazione, che ora può durare fino a 24 mesi. Per far questo, come anche la recente vicenda di Garanzia Giovani ci insegna, il pubblico non può, ovviamente, “ballare” da solo, ma deve necessariamente chiedere un aiuto ai privati (sia profit che non).
Visto, inoltre, il sostanziale fallimento della prima fase del Job Aact, una volta venuti meno i ricchi e cospicui incentivi, c’è da sperare che almeno questo secondo momento riesca a raggiungere l’obiettivo auspicato. La riforma renziana, infatti, sarà, probabilmente, nel medio-lungo periodo giudicata proprio sulla capacità, o meno, di aver costruito, nel nostro Paese, un sistema di politiche attive del lavoro di qualità per chi viene, e verrà, espulso dal mercato del lavoro.
Anche, insomma, dalla sperimentazione dell’assegno di ricollocazione si potrà iniziare a capire se l’Italia si è, finalmente, dotata di quel sistema di flexicurity che l’Europa da molti (troppi?) anni ci chiede.