Parafrasando la famosa frase di Humphrey Bogart alla fine del film L’ultima minaccia, la malattia dei costi (detta anche Effetto o Morbo di Baumol) è un fenomeno economico descritto negli anni Sessanta da William J. Baumol (New York, 26 febbraio 1922) professore della Princeton University, che ancora oggi assume un ruolo fondamentale per comprendere la distribuzione dei salari in tutti i paesi sviluppati e, grazie a Gøsta Esping-Andersen,anche per comprendere gli equilibri in termini di distribuzione dei salari in tema di spesa sociale.



Iniziamo con l’evidenziare l’attuale correlazione tra salari e produttività nei paesi sviluppati, che mostra per l’Italia un quadro terribile. Anche se non aggiornato agli ultimi anni, il quadro è più o meno lo stesso ed è riportato nel grafico a fondo pagina. Il quale mostra la fotografia del mercato del lavoro: ad avere dei problemi è il meccanismo di funzionamento del tessuto produttivo, in primis quello industriale, ed è qui che entra in causa il “morbo” di Baumol. Esso implica che il costo unitario del lavoro aumenti di più nei settori a più bassa crescita di produttività (come quello pubblico e dei servizi) che in quelli ad alta crescita di produttività (come quello tipicamente industriale). 



Il famoso esempio, utilizzato per spiegare la sua teoria della crescita non bilanciata, è quella dello spettacolo dal vivo. Quanto costa produrre dal vivo un quartetto di Vivaldi? Costa la retribuzione da dare a quattro musicisti per un’ora e un quarto circa di esecuzione, più le prove. Possiamo ridurre questi costi ? No, perché è molto difficile in questo settore risparmiare sul tempo. Al nostro quartetto servono oggi esattamente le stesse ore di lavoro di quelle che erano necessarie nel Settecento, e dobbiamo presumere che la retribuzione da corrispondere agli orchestrali non sia rimasta ferma a quella di trecento anni fa, ma si sia evoluta più o meno in linea  con quelle dell’intera economia, influenzate e guidate dalle retribuzioni dei settori trainati dagli  aumenti di produttività. Ad esempio, la produzione di una macchina richiede oggi molte meno ore di lavoro di quante ne richiedesse la produzione nel settore automobilistico quarant’anni fa.



In altri termini, la produttività oraria di un’orchestra da camera non ha nulla a che vedere con la produttività oraria dei settori beneficiari del progresso tecnologico.  Baumol chiama questi tipi di settori (in special modo quelli della cultura, dell’educazione, della cura della persona e di buona parte della Pubblica amministrazione) “a tecnologia stagnante”, dato che per motivi strutturali legati alla tipologia di progresso tecnologico di questi settor, la loro produttività cresce a un ritmo minore. 

Successivamente negli anni Novanta Gøsta Esping-Andersen riprende la “malattia dei costi” e la utilizza nella definizione sui tre regimi di welfare (anglosassone; scandinavo; e quello corporativo dell’Europa centrale), spiegando come sia fondamentale nei servizi di cura (sanità, assistenza alla non-autosufficienza, asili nido) e istruzione il ruolo dell’attore pubblico per compensare nei salari il ridotto livello di produttività.

Nei paesi anglosassoni il ruolo dell’attore pubblico è stato drasticamente ridotto dopo le dottrine Thatcher e Reagan. Questo ha comportato il fatto che il salario dei settori a bassa produttività è vincolato al libero mercato e che il “morbo” di Baumol si abbatta sui salari dei dipendenti di questi settori, e in molti casi sul livello di qualità dei servizi offerti. 

In Italia questo spiega in buona parte la diffusione del ruolo delle Cooperative nei settori sociali, solo in piccola parte giustificate da evidenti questioni etiche e morali, ma piuttosto per la capacità di ridurre i costi di produzione (in primis, gli stipendi dei propri dipendenti), permettendo alla maggioranza delle famiglie mono-reddito o comunque a basso reddito di usufruire di determinati servizi. Nel settore della musica dal vivo o del teatro sono presenti anche altri aspetti rilevanti, come la necessità da parte dello Stato di garantire che un settore utile alla crescita culturale dei cittadini resti attivo; in molti casi il comparto non sarebbe in grado di autofinanziarsi ed eventuali economie di scala, per far fronte ai costi di produzione, comporterebbero un livello qualitativo inferiore del prodotto artistico: quindi, lo Stato deve intervenire per colmare il gap  tra produttività e salari.

In tema di Pubblica amministrazione, emerge chiaramente grazie al “morbo” di Baumol come sia impensabile aumentare al momento i salari dei dipendenti pubblici in quasi tutti i settori, dato l’enorme perdita di potere d’acquisto dei lavoratori che svolgono analoghi ruoli nel privato (dall’assistenza ai non autosufficienti, alle scuole paritarie, agli asili nido). È difficile che su questo la “malattia dei costi” possa sbagliarsi, ma se questa valutazione è ritenuta non corretta, i dipendenti pubblici possono sempre licenziarsi e vedere se la teoria è giusta o sbagliata.

Nel settore industriale, soprattutto quello manifatturiero, sarà sempre più rilevante il ruolo della contrattazione “decentrata” vincolata alla produttività della filiera o delle singole imprese, che può garantire un moltiplicatore economico in grado di incrementare i salari reali del settore dei servizi. D’altronde questo è l’unico settore in grado di contrastare il “morbo”, un settore sempre più globale che deve ancora comprendere quali saranno gli effetti di Industry 4.0, ovvero la cosiddetta quarta rivoluzione industriale, che con molta probabilità comporterà una riduzione ancora più rilevante di manodopera. Certo non si esclude il ritorno di alcune aziende, ma queste avranno la necessità di assumere un decimo della forza lavoro precedente, in molti casi con maggiori competenze rispetto al passato (quindi sarà difficile una ricollocazione degli ex lavoratori).

La “malattia dei costi” ci suggerisce anche cosa fare per il futuro: se da una parte evidenzia l’impossibilità di aumentare i salari nella Pa, dall’altra ci dice che per mantenere quelli correnti e contemporaneamente garantire il potere d’acquisto ai lavoratori dei servizi locali sarà necessario che i  benefici del progresso tecnologico, una volta realizzati nei settori ad alta crescita della produttività, siano ridistribuiti a vantaggio anche degli altri settori. 

In altre parole, nei prossimi anni, per evitare il “morbo”, la teoria della crescita non bilanciata di Baumol giustifica una maggiore tassazione a quelle multinazionali che hanno grandissimi utili e in proporzione pagano tasse molto ridotte (Apple, Microsoft, Amazon, Facebook, ecc.). Se la mano pubblica non interverrà nei confronti di queste aziende (aldilà di quello che già pagano oggi), è bene tener presente che la “malattia dei costi”, puntuale come un orologio svizzero, influenzerà l’equilibrio del mercato del lavoro, spingendo in generale i salari dei servizi e del pubblico verso il basso. È la malattia dei costi bellezza! E tu non puoi far niente! Niente!