Nella notte tra l’8 e il 9 novembre gli americani, dopo una lunga campagna elettorale, hanno scelto il loro nuovo presidente: Donald Trump. Il quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti, tycoon miliardario con rilevanti interessi nel settore del mattone, considerato un outsider anche dal “suo” stesso partito, entrerà, tuttavia, alla Casa Bianca solo il prossimo 20 gennaio. È, quindi, il tempo per capire meglio, anche da questa parte dell’oceano, quali sono i piani di “The Donald” per rilanciare l’economia, e il lavoro, a stelle e strisce.



L’America rimane, pur sempre, la prima economia mondiale. Come primo punto, il disegno economico trumpiano prevede, quindi, di fare tutto il possibile per stimolare l’economia creando, almeno secondo “The Donald”, ben 25 milioni di nuovi posti di lavoro nei prossimi 10 anni. L’assunto perché questo si realizzi è che ogni punto percentuale di crescita del Pil in più crei ben 1,2 milioni di posti di lavoro. Riuscire a raggiungere costantemente per un decennio questo tasso di crescita dell’1,5% si dovrebbe tradurre, secondo il nuovo presidente, in 18 milioni di posti di lavoro in più oltre ai 7 milioni già previsti.



Sarà così messa in campo una politica di riforma fiscale pro-crescita, approvato un nuovo, e moderno, quadro normativo, promossa una politica commerciale “America-First”, sviluppato un aggressivo piano energetico e portato avanti il cosiddetto “Penny Plan” per ridurre i costi della macchina pubblica. Il nuovo inquilino della Casa Bianca arriva a immaginare che queste scelte potranno stimolare, per l’America, una crescita economica di ben 3,5 punti percentuali all’anno se non, addirittura, 4.

Il lavoro da fare perché questo diventi realtà è, in ogni caso, molto. Nel corso degli ultimi sette anni, quelli della crisi ma anche della presidenza Obama, si sostiene che ben 14 milioni di persone hanno perso il loro posto di lavoro: oggi gli Stati Uniti registrano, quindi, il più basso tasso di partecipazione al mercato del lavoro dagli anni’70. I prossimi mesi serviranno, così, al nuovo presidente per dotarsi di una squadra adeguata alle sfide e ai progetti che sono stati promessi durante questa dura, forse non particolare affascinante, e lunga campagna elettorale.



L’Italia, e l’Europa più in generale, saranno certamente spettatori interessati. L’uscita dalla crisi a casa nostra, infatti, passa anche da un ulteriore rilancio dell’economia americana. Si deve poi auspicare che Trump riesca a fare quello che, ormai molti anni fa, fece un altro presidente outsider degli Stati Uniti, Ronald Reagan, che, addirittura, alla fine riuscì a esportare la sua “reaganomics” anche al di là dell’oceano.