La creazione di nuova occupazione ha continuato a essere più forte nel 2015, e all’inizio del 2016, di quanto ci si poteva legittimamente aspettare dalle dinamiche della crescita economica. Questo è, perlomeno, quanto emerge dal recente rapporto della Commissione Ue sul mercato del lavoro e sull’andamento dei salari in Europa nel 2016.



Questo dato, secondo i ricercatori, può essere collegato a più elementi: una creazione di occupazione più forte nei servizi, settore tradizionalmente a più alta intensità di lavoro e più reattivo alle dinamiche dei consumi, l’andamento del costo del lavoro e la “materializzazione” degli effetti delle riforme strutturali attuate, dai diversi paesi, dall’inizio della crisi.



L’Europa evidenzia, infatti, come il graduale miglioramento delle condizioni economiche e del mercato del lavoro iniziato nella seconda metà del 2013 sia continuato per tutto il 2015 e l’inizio di quest’anno sia nell’Unione che nell’area dell’euro. Nel mese di agosto 2016, il tasso di disoccupazione ha raggiunto, nei 28 paesi, l’8,6%, un dato ben 2,5 punti percentuali inferiori al picco, ahimè, raggiunto nel 2013, ma, tuttavia, ancora quasi due punti percentuali sopra al livello pre-crisi. Se, quindi, le prospettive di lavoro sono gradualmente migliorate, non si può sottacere che circa la metà dei disoccupati nell’Unione, e nella zona euro, è, tuttora, alla ricerca di un posto di lavoro da almeno 12 mesi.



Un rafforzamento dell’economia non sarà, infatti, sufficiente per far sì che, perlomeno in tempi brevi, tutti i disoccupati di lunga durata possano tornare al lavoro. Per far questo serviranno, certamente, la definizione di nuove politiche dedicate sia dal lato della domanda, per incoraggiare la creazione di nuovi posti di lavoro, che dal lato dell’offerta, sostenendo in particolare le persone con lunghi periodi senza occupazione nella ricerca di un posto e in percorsi di riqualificazione professionale.

In questo quadro il rapporto evidenzia le implicazioni macroeconomiche del salario minimo per legge. Il salario minimo è, infatti, dove previsto, uno strumento per migliorare la distribuzione del reddito e ridurre le disuguaglianze salariali che, tuttavia e paradossalmente, soprattutto se troppo alto, rischia di diventare un nemico per l’occupazione dei lavoratori a più bassa retribuzione come i giovani adulti e le persone poco qualificate.

In Italia la misura, prevista nella legge delega del Jobs Act, è attualmente ancora non operativa. È, probabilmente, arrivato il tempo, partendo anche da una seria riflessione sulle esperienze di altri importanti stati europei, di valutare se, e come soprattutto, introdurre il salario minimo garantito nella nostra legislazione.