Henri Bergson, grande filosofo francese e premio Nobel per la letteratura nel 1927, amava ripetere che “il presente non contiene altro che il passato; così, ciò che si scopre nell’effetto si trovava già nella causa”. Succede oggi che ci troviamo a parlare del rinnovo dei metalmeccanici, ma ai più sfuggono la portata innovativa dell’intesa e le profonde distanze che si vanno a ricomporre. È una storia che ha avuto inizio nel 2009, quando – in piena crisi economica – Confindustria, allora presieduta da Emma Marcegaglia, si dichiarava disponibile a ridiscutere di rinnovo dei contratti alla sola condizione che venissero riprese e ben definite le funzioni dei due livelli contrattuali e che si dessero certezze alle imprese circa la dinamica inflattiva, molto temuta perché si pensava che il prezzo del barile potesse schizzare alle stelle. Da qui l’accordo generale (2009) con il deciso rinvio alla contrattazione di secondo livello e l’introduzione dell’Ipca, che legava in modo forte il salario all’inflazione. L’intesa fu firmata da Confindustria e dalle sole Cisl e Uil, non dalla Cgil. Si trattava del primo accordo interconfederale separato.
Ciò che successe in seguito ha del clamoroso ed è la prova che gli eventi si possono prevedere fino a un certo punto. In ultima istanza, bisogna crederci e andare incontro al cambiamento. Innanzitutto: furono rinnovati in modo unitario tutti i contratti di settore, tranne proprio quello dei metalmeccanici. Nel 2010 la grande svolta, il caso Fiat: il contratto di Pomigliano – esteso poi a tutto il gruppo – accoglieva fino in fondo i dettami dell’accordo generale e, naturalmente, questo non entusiasmava la Cgil, soprattutto perché sappiamo tutti che Fiat non è un’azienda come un’altra. Maurizio Landini, da poco Segretario Generale, si trovava stretto tra l’incudine e il martello: la paura vera – come ha scritto poi nel suo libro “Forza Lavoro” (2013) – era che il contratto nazionale ne uscisse indebolito. Timore legittimo, un po’ forzata la battaglia per la violazione dei diritti universali del lavoro e illegittima – questo sì – la campagna mediatica contro Marchionne e chi con lui firmava accordi storici.
Risultato: un’industria rinata e più ricca tanto che lo stesso Landini è finito col fare abiura. Ma anche un sistema lacerato: Fiat si trova costretta a uscire da Federmeccanica-Confindustria, e non per un problema di deroghe non concesse – come molti commentatori anche illustri hanno detto – ma perché il contenzioso che la Fiom innescava sul piano giudiziario era molto insidioso dentro il sistema delle regole confindustriali; uscendone, il contratto Fiat si riferiva alle sole leggi dello Stato. E per la Corte Costituzionale era, ed è, pienamente legittimo. Ne sono seguite in particolare, oltre all’accordo del 2011, l’intesa del 2013 e il Testo Unico sulla Rappresentanza del 2014, in cui la Cgil recuperava il suo ritardo circa i principi del 2009 affermati fortemente dal caso Fiat.
Siamo ai nostri giorni, in cui – dopo l’inimmaginabile comportamento della dinamica inflattiva impazzita (nel 2014 arriva la deflazione) – i lavoratori dovrebbero restituire soldi alle imprese. Ma sul piano interconfederale, Giorgio Squinzi – Presidente di Confindustria fino a questa primavera – non riesce a trovare un accordo con Cgil, Cisl e Uil. Si decide così, soprattutto per volontà di Cgil e Uil, di lasciare spazio ai rinnovi di settore. Sarebbe a questo punto da approfondire qual è il ruolo oggi delle Confederazioni se in una situazione come questa non sono loro a trovare le soluzioni.
Si rinnovano nel frattempo il contratto chimico e quello alimentare; arrivano poi i meccanici a intavolare la trattativa. Nel frattempo Vincenzo Boccia viene eletto alla guida degli Industriali e il suo monito segue al Manifesto delle relazioni industriali di Federmeccanica: “la ricchezza si distribuisce laddove prodotta”. Più volte ne abbiamo scritto, ciò che è importante – al di là degli annunci – è che tutta l’industria a quel punto aspetta di capire cosa fanno i meccanici: le relazioni industriali si fermano. Effettivamente, parliamo di un settore di 1,6 milioni di lavoratori; ma questa paralisi è la naturale conseguenza del mancato accordo sul piano interconfederale. I meccanici, tuttavia, questa volta ci sorprendono: non solo arrivano a un contratto innovativo (in materia di recupero dell’inflazione, di formazione come diritto soggettivo, di sanità e previdenza integrative, ecc.), ma soprattutto unitario. E questa è la grande novità: tutto passa, anche, dalla firma del ritrovato Landini.
In sintesi: oggi l’industria italiana è più forte, non solo perché il sistema può accogliere principi innovativi, ma anche perché quest’intesa sancisce una pace sociale e una partecipazione destinate a diventare le fondamenta di Industry 4.0, sfida che l’Italia non può perdere. I meccanici e le loro rappresentanze sono stati capaci di ricomporre una lacerazione pericolosa e, nelle loro differenze, si sono dimostrati molto più abili e seri dei partiti: anche il lavoro della politica deve tornare a essere quello della ricerca della mediazione, proprio come avviene quando si contratta. La Cisl e la Fim sono state il cuore di questa storia rivoluzionaria: da Raffaele Bonanni a Marco Bentivogli, da Giuseppe Farina a Giuseppe Terracciano… ma le organizzazioni, quando sono così forti, lo sono perché sono compatte, perché – oltre a esprimere una leadership – hanno una squadra.
Vedremo ora cosa succede sul piano dei contratti – dovrebbe seguire un valzer di rinnovi – e sul piano interconfederale: l’accordo dei meccanici pone le giuste condizioni per quello generale. Per la cronaca, questa è la prima volta che la Fiom accetta formalmente che si possa derogare aziendalmente e territorialmente al contratto collettivo nazionale.
Un’ultima annotazione: nello stesso giorno in cui i meccanici firmano questa storica intesa, muore Fidel Castro, icona di un mondo che non c’è più. Peccato che in Italia si è parlato più di lui che di questo contratto, simbolo di un futuro che è già presente. Continuiamo a chiedere il cambiamento ma il cambiamento è in atto, bisogna solo accorgersene. Per il resto, pace all’anima del dittatore Castro.
Twitter @sabella_thinkin