Arrivano finalmente le risorse per le politiche attive per il lavoro. Il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali ha, infatti, pubblicato pochi giorni fa, sul proprio sito internet, un Decreto di impegno che vale ben (?) 18 milioni di euro. Le nuove risorse andranno, quindi, a finanziare, fondamentalmente, la prima sperimentazione dell’assegno di ricollocazione.
L’impegno sembra, però, onestamente modesto. Il successo del Job Aact nel medio lungo periodo passa infatti, prima di tutto, dalla capacità di mettere in campo politiche attive del lavoro di qualità e di creare, così, un vero, ed efficace, modello di flexicurity (come da molto tempo ci chiede l’Europa) anche nel nostro Paese. Le risorse sono, poi, estremamente ridotte se si pensa di coinvolgere, in questa prima fase, almeno 20/30 mila potenziali beneficiari dell’assegno e se si fa una comparazione tra queste e quelle che sono state destinate, a suo tempo, alla decontribuzione “una tantum” che ha “drogato” il mercato del lavoro nel 2015.
Il lancio, finalmente, dell’assegno di ricollocazione è, tuttavia, importante anche per altri motivi. È, infatti, il primo intervento della neo-costituita Anpal nel mercato del lavoro e un test del nuovo assetto istituzionale, fortemente centralizzato a Roma, immaginato dalla Riforma Renzi-Boschi-Verdini che dovrà essere confermato con il referendum del prossimo 4 dicembre. Nel nuovo assetto lo Stato avrà, infatti, una competenza esclusiva anche sulle politiche attive del lavoro e sulle disposizioni generali e comuni sull’istruzione e formazione professionale, ponendo termine a una fase storica fortemente “federalista” in materia.
Se è certamente vero che le Regioni, in molti casi, non hanno fatto al meglio il loro lavoro, non si può negare che vi siano state, come nel caso della Lombardia ma non solo, buone pratiche. Il nuovo assetto, tuttavia, sembra cancellare tutto questo realizzando un livellamento verso il basso non in grado di valorizzare le migliori esperienze che sono già state messe in campo in questi ultimi anni. Le politiche del lavoro sono, poi, strettamente, e strutturalmente, collegate alle politiche dello sviluppo ed è, in questa prospettiva, impensabile slegare queste dalla dimensione del territorio.
Il 4 dicembre, insomma, vi è, almeno secondo chi si oppone all’impostazione dell’esecutivo, una ragione in più per dire no a una riforma che, seppur prevede uno pseudo-Senato delle Autonomie, nega quella valorizzazione delle autonomie locali che ha, nei migliori momenti della nostra storia, caratterizzato il nostro Paese anche con riferimento al cruciale tema delle politiche del lavoro.