Subito dopo la petizione popolare, il Senato ha licenziato la manovra di stabilità 2017 precedentemente votata dalla Camera. Per quanto riguarda i premi di risultato e welfare aziendale, sul salario di produttività l’importo soggetto alla cedolare secca del 10% viene innalzato a 3.000 euro (fino a 4.000 nel caso di aziende con coinvolgimento paritetico dei lavoratori) per redditi fino a 80.000 euro (era 50.000 euro l’anno scorso). Naturalmente, il medesimo importo può essere corrisposto sotto forma di prodotti/servizi di welfare aziendale e, stante la “non volontarietà” del piano di welfare, la detassazione scende a zero.
Naturalmente si tratta di un’opportunità non solo per la grande impresa, ma anche per chi non è così abituato alla premialità, vedi le aziende più piccole. È questa una chiara occasione per loro, per far sì che le direzioni aziendali possano stimolare le loro risorse verso progetti di crescita della produttività del lavoro. Se, poi, cresce ricchezza, la si distribuisce; anche in virtù di come territorialmente le Parti sociali si stanno organizzando, per esempio con comitati bilaterali che esprimeranno un parere consultivo che potrà aiutare le imprese nel comprendere la conformità del proprio piano a quanto previsto dal legislatore per l’ottenimento degli sgravi.
La cosa interessante è, senza dubbio, la possibilità di crescere partecipazione nelle imprese e di mettere queste nella condizione di avere sempre più obiettivi di sviluppo da traguardare, cosa che può avere ripercussioni sul Pil, sui consumi e sull’occupazione. Consideriamo che nel periodo 1995-2015, la produttività del lavoro è aumentata a un tasso medio annuo dello 0,3%, valore molto al di sotto della media Ue del +1,6% (fonte Istat). Da qui l’interesse del legislatore con queste misure che, fatto nuovo, vanno in una direzione sempre più incentivante.
Si sta tuttavia diffondendo una tendenza delle imprese a puntare, in termini di premialità, non sul salario ma su servizi/prodotti di welfare, anche stimolate da moltissime società di servizi che si propongono per la gestione del welfare aziendale. C’è però un equivoco di fondo: non è il welfare di per sé che rende più competitiva l’impresa, semmai questo ne risulta una leva; ciò che invece incide sulla competitività è unicamente la capacità di ottimizzare la produttività che passa da migliorie apportate all’organizzazione del lavoro: l’impresa è, infatti, un sistema organizzato.
Gli incentivi che il legislatore ha previsto ci sono nella misura in cui si interviene per crescere produttività del lavoro, sia in caso di contratto aziendale, sia di piano per la produttività condiviso con i lavoratori, anche senza le loro rappresentanze, lo si può infatti mettere ai voti, come i regolamenti. Ciò che è importante è che nei luoghi di lavoro ci si sforzi di migliorare la produttività e di rendere le imprese più produttive; ma questo non avviene se soltanto cresce benessere (welfare) in azienda. C’è il rischio che ci ritroviamo con imprese che crescono welfare, ma non la produttività del lavoro.
Il legislatore, che incentiva in misura maggiore il welfare rispetto al salario, farebbe bene a tenere monitorato questo aspetto. E anche le Parti sociali, in particolare quelle datoriali, farebbero bene a non trascurare questo equivoco.