Con il 2017 saranno resi noti con maggiore precisione i dati riguardanti lo stato di salute del sistema bancario nazionale sui quali lavorano sia i sindacati dei lavoratori, sia l’Associazione bancaria italiana. Di questo stato di salute la stampa continua a dare un monitoraggio continuo. Come ogni uomo d’azienda sa, il primo fronte che viene aggredito in ogni contesto (dal consolidamento e sviluppo, alla ristrutturazione, fusione, concentrazione) è quello dei costi. E in banca costi considerati soprattutto tali vengono tradotti con una sola parola: personale e una piccola leva correttiva che – quale investimento – potrebbe essere rappresentata da formazione e riallocazione.
Il tema è complesso e per nulla facile e su di esso spesso si è costruita un’equazione semplicistica: minori costi grazie a meno bancari di elevata anzianità ritenuti obsoleti in un’organizzazione del lavoro in rapida evoluzione costruita su flessibilità, tecnologia, ruolo consulenziale pusher che si estrinseca in collocamento, bundling di prodotto e servizio d’investimento e post-assistenza da far durare per tutta la vita della relazione con i clienti.
Dopo il giudizio di Mario Draghi sulla sovraccapacità e le polemiche con Renzi sui famosi 150.000 esuberi in un arco decennale, a far di conti non ci si meraviglia più di tanto attese le manovre da compiere in un quadro come quello sopra descritto. Le certezze sono poche, ma una è più certa delle altre: dopo le tornate precedenti, l’ottava salvaguardia degli esodati è una fine e la scelta di opzioni offerte dalla normativa presente è un percorso necessario. Se qualcuno manifesta poi soddisfazione a livello macro per un saldo sociale accettabile, dove la riduzione di risorse anziane ad alto costo è parzialmente compensato (di media 1 a 5, o a 8-10) con l’inserimento più economico ma allineato per età alle dinamiche tecno-culturali correnti delle new entries, qualcun altro si chiede cosa possa accadere con il quadro politico istituzionale in movimento che potrebbe portare anche al venir meno di condizioni normative, a partire dall’Ape per finire al Jobs Act. Trascuro la condizione che attiva la gamma di strumenti (dalla solidarietà orizzontale e la riqualificazione obbligata al ribasso al fondo di solidarietà e sostegno, ecc.) che sono tipizzazione del sistema bancario e assicurativo per una brevissima analisi su quella che è la prima tappa del processo.
I primi a uscire sono i lavoratori maggiormente prossimi alla pensione. Che sia questa pensione anticipata o di vecchiaia assistita o isopensione (in un analogo lasso di tempo che parte dai 63 anni) o Ape aziendale, che pur volontaria potrebbe discendere da un accordo quadro tra sindacati e Abi, l’aspetto più importante è uno: non privare i lavoratori di quel comune sentire che prevede la presenza della clausola del miglior trattamento, o di maggior favore tra le opzioni presenti, poi necessariamente da formalizzare in acta. Personalmente io tendo a escludere in questo caso, in quanto inadeguata, l’applicazione dell’Ape aziendale. In primo luogo perché discende dalla necessità di dare copertura a un’esigenza che si può manifestare nelle aziende di settori che non hanno strumenti tipici come quello del credito, ma che di fatto tende a penalizzare in modo differenziato gli interessati in campo. In secondo luogo – e rispetto al fatto di essere stata citata come una terza opportunità – essa di fatto o è formalmente scomparsa come definizione dal testo della Legge di bilancio 2017, o è rimasta in un limbo quale altro oggetto dei cento emendamenti bloccato dal voto di fiducia al Senato, post-referendario.
Peraltro nella Legge di bilancio esiste quel percorso normativo di adeguamento e applicativo nei 60 giorni successivi all’approvazione che, gravando sulle spalle di Poletti confermato, richiederebbe anche una “richiamata” di Nannicini come sottosegretario per dare consistenza applicativa all’intero articolo 25, oltre agli altri articoli discendenti dalla sua opera.
Certo in ciò non posso che confermare il giudizio non totalmente positivo che si diede all’Ape stessa così come formulata da Nannicini in quanto disegnata sulla falsariga di quanto prevedeva la proposta di “Riformare la Riforma“. Il non muovere la leva del contributivo volontario proiettato al montante relato all’età scelta di pensionamento, in un contesto caratterizzato da strumenti settoriali diversi, innestando la necessità di un debito creditizio, rappresenta una contraddizione e un profilo conflittuale d’interessi e con penalizzazioni proprio con l’applicazione nel settore del credito. Di quanto presente nell’articolo 25, l’unico aspetto recepito e giudicato positivamente è la possibilità per le aziende di contribuire a sostenere il montante finale del pensionando, con un comma copiato pari pari dalla proposta di riforma di Boeri che citai come uno dei pochissimi aspetti condivisibili.
A questo proposito una maggiore chiarezza si può avere affiancando le condizioni dell’uscita per il pensionamento anticipato che, come appare dalle stesse parole, è altra cosa dall’anticipo pensionistico. Quale delle due strade per l’uscita anticipata dal lavoro (la pensione anticipata Fornero, attiva dal 2012, conosciuta come isopensione e l’Ape che partirà invece in via sperimentale proprio dal 2017) è più conveniente per un lavoratore vicino all’età pensionabile? Lo vedremo in un prossimo articolo.
(1- continua)