Come i più sapranno, dieci giorni fa è stato rinnovato il contratto del settore metalmeccanico industria. L’accordo ha avuto l’attenzione che meritava, sia nel suo ambito che da parte di giornali e televisioni. Parliamo, del resto, del settore più importante della nostra industria. Il sistema delle relazioni industriali pare tuttavia spiazzato da questo rinnovo, forse perché erano in molti a pensare – e forse a sperare – che Landini e la Fiom non firmassero.
La sorpresa nasce anche per via delle soluzioni che tale accordo presenta e che tanto piacciono sul versante dell’impresa ma molto meno in ambito sindacale. Ci riferiamo in particolare alle novità apportate al recupero dell’inflazione e della sua erogazione a consuntivo, cioè non più prevista (e quindi pagata ex ante) ma reale (pagata ex post). I meccanici hanno scelto una modalità, quella ex post, compensata anche dal sostegno al salario in termini previdenza, sanità, formazione e welfare aziendale.
Per quanto i meccanici, come i chimici e come altri del resto, siano liberi di meglio regolarsi, nell’ambiente confederale – sindacale in particolare – si valuta che questa soluzione non sia ottimale. Vedremo come si accorderanno le Confederazioni, ma è quantomeno curioso che ci sia chi dice che ciò non va bene, quando i meccanici – come del resto chimici e alimentaristi – sono andati a risolvere in modo unitario un problema che a lungo ha tenuto in stallo i rinnovi contrattuali e al quale le Confederazioni non sono state capaci di dare risposte.
Come già scritto su queste pagine, si tratta di una storia che ha avuto inizio nel 2009, quando – in piena crisi economica – Confindustria, allora presieduta da Emma Marcegaglia, si dichiarava disponibile a ridiscutere di rinnovo dei contratti alla sola condizione che venissero riprese e ben definite le funzioni dei due livelli contrattuali e che si dessero certezze alle imprese circa la dinamica inflattiva, molto temuta perché si pensava che il prezzo del barile potesse schizzare alle stelle. Da qui l’accordo generale (2009) con il deciso rinvio alla contrattazione di secondo livello e l’introduzione dell’Ipca, che legava in modo forte il salario all’inflazione. L’intesa fu firmata da Confindustria e dalle sole Cisl e Uil, non dalla Cgil. Si trattava del primo accordo interconfederale separato.
Siamo ai nostri giorni, in cui – dopo l’inimmaginabile comportamento della dinamica inflattiva impazzita (nel 2014 arriva la deflazione) – i lavoratori dovrebbero restituire soldi alle imprese. Ma sul piano interconfederale, Giorgio Squinzi – Presidente di Confindustria fino a questa primavera – non è riuscito a trovare un accordo con Cgil, Cisl e Uil. Si è deciso così, soprattutto per volontà di Cgil e Uil, di lasciare spazio ai rinnovi di settore. E Vincenzo Boccia, che è succeduto a Squinzi, ha capito subito che non c’era possibilità di arrivare a un’intesa con i sindacati.
Nel 2009 la situazione era pressoché la stessa: la Cgil non voleva fare l’accordo, voleva i contratti di settore; ma Cisl e Uil non lasciarono spazio alla Cgil, si optò quindi per l’accordo generale che poi la Cgil non firmò, ma che fu, per quanto separato, preziosissimo per i rinnovi di settore. Si rinnovarono infatti tutti i contratti al di fuori del solo metalmeccanico industria.
Ora, con l’accordo generale scaduto dal 2013, le categorie si stanno trovando con i primi rinnovi a dare soluzioni da sole ai problemi irrisolti, tra cui l’inflazione. La modalità unitaria con cui ciò è avvenuto nel settore metalmeccanico è encomiabile: considerato il momento di forte crisi economica, la capacità di mediazione dimostrata è di esempio anche per la politica. Vedremo ora quale accordo le Confederazioni saranno in grado di raggiungere.