Dal dibattito intorno al Libro Bianco preparato da Marco Biagi si discute di come regolare le tutele estendendole a tutte le forme di lavoro. Il percorso è nato da una constatazione: sempre di più non vi è un lavoro che dura tutta la vita, ma nella vita si passa attraverso lavori differenti. La stessa durata media di vita delle Pmi italiane non copre più un intero ciclo generazionale. Se così è, il sistema di welfare legato ai contratti di lavoro, che si basava sulla stabilità e la continuità della vita lavorativa, non poteva più assicurare le medesime tutele per tutti.

Il tema è tornato centrale con il Jobs Act. L’introduzione del contratto a tutele crescenti e il superamento del dualismo che caratterizzava il nostro mercato del lavoro ha riproposto il tema di tutelare tutti i lavori, anche quelli autonomi, ma che rispondano a esigenze di flessibilità del sistema produttivo e non solo a tentativi di utilizzare forme contrattuali che tendono a svilire il contributo dei lavoratori.

Da quando si è posto il tema dello Statuto dei lavori, ossia di nuove norme che tutelino i diritti di tutte le forme di lavoro non imprenditoriale, ci si è scontrati con una realtà di lavoratori autonomi che non chiedevano di transitare verso contratti di lavoro subordinato, ma domandavano più tutele a difesa della loro professionalità e autonomia. Si tratta di chi ha usato per molto tempo il contatto di collaborazione professionale o a progetto. Delle tante partite Iva che non intendono rinunciare all’autonomia lavorativa. Oltre a questi vi sono poi forme di “smart works”, lavoro a chiamata o con tempi limitati ma continui, che pur essendo subordinati non godevano delle medesime tutele di analoghi impieghi a tempo pieno.

Nel corso di questi anni, gli interventi legislativi hanno avuto come obiettivo principale quello di limitare il ricorso a forme spurie di lavoro subordinato perché ciò produceva il dualismo fra tutelati e non, e falsava la concorrenza sul mercato del lavoro. A fianco di tali interventi si erano introdotte misure per estendere ai lavoratori “parasubordinati” alcune tutele e diritti.

Con il nuovo disegno di legge approvato dal Consiglio dei ministri si è intervenuti riconoscendo un ambito apposito al lavoro autonomo e al “lavoro agile”. Per quanto riguarda il lavoro autonomo si opera una vera svolta culturale. Lo si riconosce sullo stesso piano del lavoro subordinato definendone le particolarità e peculiarità. Inoltre, non riguarda solo i freelance o nuovi lavori, ma anche tutti i professionisti, pure in presenza di albi professionali già esistenti.

In termini di tutele introduce sia per la maternità che per malattia o infortunio la non decadenza dal contratto in corso. Il contratto dovrà essere in forma scritta e nei casi di impossibilità a rispettarlo per malattia o maternità sarà sospeso (fino a 5 mesi) e un fondo Inps assicurerà il pagamento di un corrispettivo per il periodo di sospensione.

La riforma riguarda circa due milioni di lavoratori e si propone di ridisegnare le tutele sociali di queste persone, ma anche di sostenere queste forme di lavoro favorendone la crescita professionale e le aggregazioni finalizzate ad affrontare progetti più ampi e complessi. A tal fine sono previsti sgravi fiscali per le spese di formazione (deducibilità completa fino a diecimila euro) e la possibilità di partecipare a gare di appalto e fondi europei che oggi erano limitati solo a società di capitali.

Quest’ultimo punto è importante e apre una nuova fase anche per liberalizzare settori dove pesano ancora forti retaggi corporativi. In questi anni, proprio per l’assenza di regole tutelanti il lavoro autonomo e professionale, alcune nuove professioni hanno creato nuovi ordini professionali ritenendo questa l’unica forma tutelante la loro professionalità. Spesso però da associazioni di promozione della professionalità gli ordini si pongono come limitatori sia della concorrenza, con danno economico per i consumatori, sia come limitatori della crescita di forme societarie che potrebbero fare crescere nuove forme di imprese professionali. Sarà nell’ambito della legislazione sulle liberalizzazioni che il governo dovrà dare prova di essere riformista con la stessa forza con cui ha agito sul fronte delle tutele lavorative.

Per quanto riguarda il “lavoro agile” o “smart work”, ossia quei lavori slegati dai vincoli del luogo e dell’orario, il decreto pone l’obiettivo che non possono essere trattati in modo diverso da chi svolge un lavoro analogo anche se con modalità tradizionali. È una spinta per quelle imprese che, attraverso l’uso di nuove tecnologie, puntano a risparmi sulle spese generali e si pongono come innovative nell’organizzazione del lavoro.

L’attuazione del provvedimento, studiato assieme alle rappresentanze del lavoro autonomo, sarà essenziale affinché le parti innovative non siano accantonate nella pratica quotidiana. È certo un tassello importante per definire un nuovo Statuto dei lavori che sia non solo fotografia dei nuovi lavori, ma sostegno per un miglior lavoro nel futuro.