Ai numerosi dossier che circolano in materia pensioni e che riemergono a intervalli regolari si è aggiunta l’ulteriore confusione creata dalle pensioni di reversibilità. Nonostante le voci di smentita che si rincorrono, al cittadino rimane un dubbio legittimo: che cosa succederà? All’origine della confusione è il disegno di legge delega approvato dal Consiglio dei ministri il 28 gennaio su contrasto alla povertà, riordino delle prestazioni e sistema degli interventi e dei servizi sociali.



Come si può facilmente intuire, si tratta di un progetto di legge assai complesso, con l’obiettivo non solo “di immaginare uno strumento finanziario di sostegno e di creare una infrastruttura organizzativa capace di gestire le politiche – ha asserito il Ministro Poletti -, ma di ripensare a un intero impianto culturale, di una idea volta a superare la logica dell’assistenza passiva grazie all’introduzione del principio di attivazione finalizzata alla inclusione sociale e lavorativa, insieme alla garanzia di equità ed efficacia nell’accesso e nell’erogazione delle prestazioni“.



Il riordino delle prestazioni di carattere assistenziale è un tassello chiave di questo progetto. Non è un mistero: già lo studio presentato alcuni mesi fa dall’Inps (“Non per cassa ma per equità“), contestato allora dal Governo, mostrava come la spesa assistenziale al di sopra dei 65 anni di età soffriva di una rilevante inefficienza distributiva, andando anche a vantaggio del 30% della popolazione con i redditi più elevati per un totale di circa 5 miliardi di euro di spesa, per la maggior parte proveniente da integrazione al minimo e da pensioni e assegni sociali. L’armonizzazione della spesa assistenziale, dunque, in relazione alla situazione patrimoniale effettiva del nucleo familiare, è certamente da attuare. 



Lo studio Inps citato elenca le prestazioni assistenziali contemplate dal nostro ordinamento e a vario titolo disciplinate: pensioni sociali, integrazioni al trattamento minimo, maggiorazioni sociali, assegno sociale, incrementi al minimo, importi aggiuntivi, incrementi alla maggiorazione sociale e somme aggiuntive.

Perché includere le pensioni di reversibilità? Nel disegno di legge delega le pensioni di reversibilità sono considerate prestazioni previdenziali comunque sottoposte “alla prova dei mezzi“, cioè a determinate condizioni di fruibilità: questo è certamente vero se si considerano sia i potenziali beneficiari (non solo il coniuge, ma anche i figli, i nipoti, i genitori o i fratelli a determinate condizioni), sia le riduzioni in caso di percezione di altri redditi da parte del titolare. 

Nell’esercizio della delega di razionalizzare le “prestazioni di natura assistenziale, nonché di altre prestazioni anche di natura previdenziale, sottoposte alla prova dei mezzi“, il Governo è tenuto a introdurre “in via generale principi di universalismo selettivo nell’accesso alle prestazioni medesime, secondo criteri unificati di valutazione della condizione economica in base all’indicatore della situazione economica equivalente (Isee), eventualmente adeguato alla natura di talune prestazioni“. 

Che significa questo? La norma è scritta in modo ancora troppo generico, ma se si combinano i due passaggi citati non si può non ricavare l’impressione che le pensioni di reversibilità stiano per subire una modificazione genetica, da diritto acquisito e trasmissibile agli eredi a prestazione assistenziale aleatoria, legata alla posizione economica del beneficiario. La mutazione non è da poco se si considerano più di tre milioni di beneficiari di pensione di reversibilità, con una spesa che supera i 24 miliardi di euro: una massa che fa gola alle casse dello Stato in tempi di “vacche magre” e dove si spendono clausole di flessibilità prima di ottenerle!

Al di là della legittimità di tale assimilazione, sulla quale attendiamo con ansia il parere di autorevoli giuristi, vale la pena di ricordare l’attuale disciplina amministrativa Inps, in base alla quale, ad esempio, il titolare di un assegno sociale o pensione sociale che diventa titolare di pensione ai superstiti perde contestualmente il diritto a tali prestazioni di natura assistenziale, revocate dalla data di decorrenza della nuova pensione; ciò farebbe pensare a una differente natura della pensione di reversibilità rispetto alle prestazioni assistenziali, altrimenti la percezione dell’una non comporterebbe necessariamente la perdita dell’altra.

È curioso, ma con un progetto di legge che dovrebbe contrastare la povertà si rischia di creare sacche di nuovi poveri (per lo più donne, statisticamente più longeve degli uomini) che tra l’altro con le loro pensioni, più o meno generose, hanno anche sostenuto a lungo i giovani figli in momenti di crisi. Bel ringraziamento.