L’innalzamento dell’età pensionabile introdotto con la legge Fornero è stato brutale ed eccessivo. E tra gli effetti collaterali ha determinato un invecchiamento del mercato del lavoro, che al contrario avrebbe bisogno di forze giovani per stare al passo con l’innovazione tecnologica». Lo osserva Giorgio Benvenuto, ex segretario generale Uil ed ex senatore dell’Ulivo. Lunedì il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, ha confermato che sulla flessibilità pensionistica il governo si è impegnato a studiare nuovi strumenti per consentire alle persone di uscire prima dal lavoro, anche se si passerà alla fase operativa “solo quando avremo proposte precise”.
Benvenuto, il governo farà davvero la flessibilità pensionistica o sta soltanto prendendo tempo?
Sul fronte delle pensioni, l’Italia è stata sottoposta a una cura da cavallo: si è trattato di uno dei pochi settori nel quale si sono fatti dei tagli sostanziali con enormi risultati, a partire dalla riforma Dini. Gli ultimi provvedimenti adottati dal governo Monti con la legge Fornero sono stati però troppo tranchant. L’effetto finisce per essere controproducente, nel senso che se da un lato sono stati fatti dei risparmi dall’altra si sono create delle maggiori spese assistenziali per l’aumento della disoccupazione.
In che senso ritiene che la legge Fornero sia stata troppo tranchant?
Questo innalzamento dell’età pensionabile è stato brutale ed eccessivo. Non si è tenuto conto di una situazione che in Italia è molto più articolata e complessa. Anche in Europa si è visto che il sistema pensionistico italiano è più in ordine rispetto a quelli di altri Paesi. Spero che i timidi segnali di apertura da parte del governo possano servire a introdurre degli elementi di equità nel sistema pensionistico, ma anche e soprattutto di compatibilità con una politica di sviluppo che punti a un’immissione di energie nuove nel lavoro e nella produzione.
La Commissione Ue non perde occasione per ribadire che l’Italia deve ridurre il debito. Dove si trovano le risorse per una riforma delle pensioni?
Ritengo che non su debba avere una visione statica. La flessibilità infatti non deve esistere soltanto nella prestazione lavorativa: lo stesso sistema pensionistico deve avere una sua flessibilità. L’Italia ha un problema di invecchiamento anche repentino della qualità dell’occupazione. Un sistema che deve essere competitivo e innovativo non può respingere i giovani.
Lei ritiene che l’innalzamento dei requisiti introdotto con la legge Fornero sia stato quantomeno coerente?
No. Un innalzamento fatto a casaccio dei requisiti di accesso alla pensione impedisce anche di fare innovazione. Oppure se l’innovazione deve essere fatta finisce per comportare dei costi enormi. Senza pensione occorre inoltre ricorrere ad altre forme di sostegno del reddito, e d’altra parte i prepensionamenti sono stati un peso per la nostra economia. Il grande problema per il nostro Paese è migliorare la qualità dell’occupazione.
In che senso?
Se non ho energie nuove e mantengo persone che hanno professionalità datate, finisco di fatto per creare un sistema non competitivo. Non rinnovare i contratti nel pubblico impiego, anzi bloccare le assunzioni, rappresenta un’assenza di strategia. Al contrario in passato si sono realizzati processi di mobilità e di potenziamento di alcune strutture, valorizzando là dove era necessario l’impegno e la professionalità nel lavoro.
Il governo però ha previsto il part time per i lavoratori anziani e incentivi per chi assume. Basterà a produrre nuovi posti di lavoro?
Il dramma del nostro Paese è che non ha una strategia, e che queste misure, un po’ come quelle relative alle incentivazioni fiscali, documentano un peggioramento a livello culturale. La mia impressione è che si viva sempre alla giornata. I giovani, per esempio, vengono assunti soltanto per approfittare degli incentivi previsti dal Jobs Act. E questo spiega perché poi i giovani cervelli emigrano all’estero.
(Pietro Vernizzi)